Skip to main content

Di che cosa parliamo, quando parliamo di “Kinds of Kindness” di Yorgos Lanthimos? Abbiamo provato a mettere insieme, in questa sorta di tavola rotonda, pensieri, parole, opere, omissioni e tutto quello che ci è passato per la testa durante (e dopo) la visione del film. Prendete sul serio queste nostre parole, ma con moderazione.

Emma Stone e Joe Alwyn in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

virginia

Quando avevo 17 anni e stavo facendo la seconda (di almeno tre, se non sbaglio) gita in Grecia con le scuole superiori mi ero convinta di poter imparare un minimo di greco moderno grazie a Duolinguo e a Kynodontas (2009) di Yorgos Lanthimos, film che subito è diventato – ed è ancora – uno dei miei preferiti. Non ho mai imparato a dire qualcosa che andasse oltre il «vorrei una tazza di caffè nero, se possibile» ma nel frattempo Lanthimos ha imparato l’inglese e la lingua di Hollywood meglio di quanto io potessi sperare di far conversazione in greco. Dopo Poor Things!, film molto bello ma che non riusciva a contenere molto bene quello spirito dissacrante del regista che avevo conosciuto con il suo lavoro del 2009, torno al cinema a vedere quello che alcuni critici hanno definito «il ritorno di Lanthimos alle origini». Ma quali origini, precisamente? E soprattutto, abbiamo visto lo stesso film?

Willem Dafoe e Margaret Qualley in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

Kinds of Kindness risente troppo dei dollaroni che il regista sembra aver ricevuto con questo contratto / accordo stipulato con Searchlight / Disney. Si sa, quanto più alto il budget di un film sembra essere, tanto più il suo messaggio eversivo sembra essere slavato, devitalizzato, fiacco – ma del resto siamo abituati al femminismo di Barbie, quindi di cosa ci dobbiamo stupire? Non credo che Disney avrebbe accettato di buon occhio la riproposizione di dinamiche di violenza, incesto e abuso di potere – anche sessuale – che si era visto in Kynodontas. Quindi ne esce fuori una copia sbiadita, una copia di una copia di una copia, come aveva detto qualche personaggio in Fight Club o qualcosa del genere. Il film uscito in tempi record di Lanthimos è una costante critica (giusta) al sistema statunitense e ai meccanismi che portano un’intera società a vivere in base alle apparenze, ma sono critiche banali trasferite su esempi estremi. Tagliamo un dito qua, apriamo un corpo là, la borghesia ne esce scandalizzata per circa trenta secondi di scena violenta e il nostro lo abbiamo fatto. S’apparnithika tris, Yorgos.

marco

Quando è stato presentato l’ultimo Concorso di Cannes, pochi titoli mi mettevano hype più di Kinds of Kindness. Considero Yorgos Lanthimos uno dei nomi più importanti nel contemporaneo e, dopo il trionfo a Venezia e agli Oscar, aveva cementificato il suo ingresso nel gotha dei registi più “mainstream” (anche grazie all’accordo con Fox Searchlight, quindi Disney, per gli ultimi lavori); inoltre, il proseguimento del sodalizio artistico con Emma Stone, Willem Dafoe e Margaret Qualley lasciava sperare in un continuum con Poor Things!. Ancor prima dell’ufficialità a Cannes, Kinds of Kindness era stato annunciato come uno sci-fi a episodi che il regista greco aveva scritto insieme al connazionale Efthymis Filippou, già suo collaboratore in altri quattro lungometraggi e nel corto Nimic. Sebbene non così diffusi, negli ultimi tre anni altri film antologici hanno presenziato nei principali festival europei: è il caso di Wheel of Fortune and Fantasy di Ryusuke Hamaguchi e The French Dispatch di Wes Anderson, presentati rispettivamente a Berlino e Cannes 2021. 

Hong Chau in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

Sebbene l’accoglienza per Kinds of Kindness a Cannes sia stata sicuramente più tiepida rispetto agli ultimi due lavori del greco, Searchlight ha scelto di farlo uscire in Italia il 6 giugno, due settimane prima rispetto agli Stati Uniti, cavalcando l’onda di Poor Things!. Ad oggi, secondo i dati Cinetel, il film si assesta sul milione di incassi, decisamente meno rispetto ai nove generati dall’ultimo Leone d’oro. Al netto dei risultati al box office, non sorprende che Kinds of Kindness sia un film più radicale e meno accondiscendente: c’è persino chi ha parlato espressamente di ritorno alle origini sottolineandone nichilismo e crudezza. È fuori questione che l’alto tasso di shock value si ricolleghi maggiormente alle sue produzioni greche e, in generale, alla greek weird wave; tuttavia, spesso la violenza in Lanthimos è funzionale a sottolineare la fallacia delle istituzioni e delle relazioni umane, come si nota in Kynodontas o in The Killing of a Sacred Deer. I tre segmenti del film, che riprendono le vicende del signor R.M.F. e hanno un cast comune (tra questi Emma Stone, Jesse Plemons, Willem Dafoe, Hong Chau e Margaret Qualley) hanno come trait d’union dei comportamenti di gentilezza (come da titolo) messi in atto da alcuni personaggi per ingraziarsi la benevolenza di figure a cui sono succubi. Queste azioni spesso scaturiscono in atti di autolesionismo, mutilazioni, omicidio e persino suicidio: ad accompagnarle sono sia pezzi electro pop che un tema ricorrente di corali gregoriani.

Emma Stone e Jesse Plemons in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

Queste scelte porterebbe a pensare che uno degli obiettivi di Lanthimos fosse esplorare la sudditanza psicologica verso il religioso, tema più che mai attuale in Occidente: il terzo episodio è in questo senso il più lampante, ma anche negli altri due emerge una devozione che, come accennato sopra, porta a sacrifici e a mutazioni corporee e non. Il tema della manipolazione è presente in molti dei lavori greci del regista, come Alps e Kinetta, e l’uso del b/n alternato ai colori (qui per rappresentare le scene oniriche, come il simpatico universo canino) viene riproposto dopo Poor Things!: tuttavia, non sempre queste idee rendono in modo ottimale e solo il primo episodio mi è sembrato realmente peak Lanthimos per l’uso del grottesco all’interno dello storytelling. Ritengo che, nel complesso, Kinds of Kindness sia forse il più debole tra i tre film prodotti da Searchlight, probabilmente anche a causa della mancanza di una posizione morale, di una stratificata componente psicologica o di un minimo di poesia che possa avvicinarlo ad opere più esplicitamente surrealiste. Tuttavia, sebbene si tratti di un Lanthimos minore, resta comunque una proposta affascinante e meritevole di visione, aspettando tempi migliori che potrebbero già arrivare col prossimo progetto.

alberto

Attraverso tre racconti accumunati solo dallo stesso cast di attori e dall’enigmatica figura del personaggio nominato R.M.F. (Yorgos Stefanakos), il regista Yorgos Lanthimos racchiude in quasi tre ore una collezione cinica e crudele di mediometraggi che guardano al dramma borghese con gli occhi della commedia nera. La messa in scena impeccabile mette in atto situazioni drammatiche che generano scenari impossibili o estremamente inverosimili, lasciando alienato lo spettatore tra momenti di esponenziale pazzia e dolore. La trilogia filmica costruisce un insieme di storie e personaggi raccapriccianti, con cui il più delle volte è difficilissimo riuscire a relazionarsi o anche empatizzare con loro.

Kinds of Kindness
Jesse Plemons in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

Tra le interpretazioni più impressionanti del film, i personaggi di Robert/Daniel/Andrew (Jesse Plemons) spiccano in quanto estremamente caotici e imprevedibili. Questi folli, in bilico tra momenti di lucidità e completo smarrimento, producono una forte dinamicità nella pellicola. Anche nei momenti meno coinvolgenti dell’antologia cinematografica le prove attoriali rendono l’atmosfera sinceramente più tesa ed emozionante. Ad esempio, Emma Stone riesce a regalare con i suoi personaggi i momenti più sopra le righe e dissolutamente comici delle storie, attraverso una mimica straordinaria che sembra un po’ ricordare quella dei suoi primi ruoli nelle commedie demenziali americane come Suxbad. Analizzando i racconti del trittico cinematografico, il secondo risulta il più pesante e il più illogico, mentre gli altri due, pur essendo sempre impostati come thriller esagerati e stracolmi di perversa ferocia, sono più lineari nella trasposizione.

Kinds of Kindness
Hong Chau e Jesse Plemons in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

Partendo dall’inizio, la prima storia si sofferma sulla vita di Robert (Jesse Plemons), un esausto yuppie travolto dagli eventi, e si focalizza sul suo perverso rapporto con Raymond (Willem Defoe), proprio capo e guida spirtuale. Robert deve quindi scegliere tra un faticoso libero arbitrio o sottostare alla assoluta e conveniente sudditanza nei confronti di Raymond, rendendo la visione molto avvincente. La terza storia è invece un thriller a tratti paranormale in cui una coppia aperta (Emma Stone e Jesse Plemons), facente parte di una setta guidata da un guru (Willem Dafoe), tenta la disperata ricerca di un messia in grado di curare la morte. L’universo immaginato dal regista piega ogni senso di rigore o di morale, rendendo oltremodo sgradevoli le minuziose e sempre presenti imperfezioni degli squallidi abitanti di questo mondo superficialmente così tipico e ordinario.

Kinds of Kindness
Joe Alwyn in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

Ad ogni modo l’esacerbazione dell’irreale purtroppo non è sempre il punto forte dell’antologia filmica. Infatti la seconda storia, quella che si sviluppa attorno al bizzarro e violento rapporto di coppia tra il poliziotto Daniel (Jesse Plemons) e sua moglie Liz (Emma Stone), è eccessivamente estraniante, anche ai fini stessi della storia. A contribuire enormemente a ciò sono i personaggi secondari, che vengono un po’ abbandonati nella caratterizzazione per lasciare ancora più spazio alla spirale discendente in cui affonda il protagonista, un aggressivo e, apparentemente, sempre più pazzo membro delle forze dell’ordine che abusa del suo potere. Appunto precedentemente la trama del mediometraggio aveva forti connotazioni grottesche, ma sempre calate in un contesto semiplausibile. Invece, verso la fine, gli sceneggiatori prendono una scorciatoia fin troppo sbrigativa per mettere in mostra scene di una cattiveria smodata.

emma

Unpopular opinion: mi piacciono tantissimo i film a episodi e il fatto che la nostra società li abbia praticamente abbandonati mi intristisce parecchio. Altra unpopular opinion: non mi piacciono i film di Lanthimos scritti da Lanthimos. Sono convinta che, nonostante sia stata proprio la sua scrittura a renderlo popolare (vedi Alps che vince Miglior Sceneggiatura a Venezia nel 2011) come una voce della “greek weird wave”, purtroppo a me lasci relativamente indifferente. Anzi, dirò di più, credo che Lanthimos abbia una dimensione in più quando presta la sua tecnica e il suo senso di straniamento e disagio a storie scritte da altri – come ad esempio abbiamo visto negli ultimi due lungometraggi precedenti a Kinds of KindnessPoor Things e The Favourite, entrambi scritti da Tony McNamara. Qualcuno mi potrebbe accusare di essere stata catturata dall’appello “mainstream” di questi due titoli,  o affermare che Lanthimos sia sceso a compromessi con sé stesso in questi film per raggiungere un pubblico più ampio – di cui evidentemente io faccio parte.

Kinds of Kindness
Emma Stone e Jesse Plemons in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

Kinds of Kindness, nonostante dal punto di vista formale per me sia decisamente accattivante (non solo l’idea dei tre episodi ma anche la scelta di mantenere la stessa compagnia di attori in ruoli diversi), dal punto di vista contenutistico a me risulta incredibilmente poco profondo. Salvo la trovata di collegamento non solo tematico ma anche fisico-corporeo del personaggio di R.M.F, in Kinds of Kindness stento a trovare qualcosa che mi colpisca. Infatti, nonostante il secondo episodio sia il mio preferito dei tre, non fa altro che ricordarmi qualcosa che Lanthimos ha già fatto (ad esempio il corto Nimic con Matt Dillon del 2019). Il primo episodio sulla carta da questo punto di vista invece si difende meglio: una premessa semplice ma al tempo stesso inquietante, non particolarmente già vista e un’interpretazione fantastica da parte di Jesse Plemons (di fatto la vera star dell’intero film). Nonostante tutto, mi rimane un’insoddisfazione di fondo, una quasi indifferenza: una consapevolezza che si possa disturbare di più o osare di più – e che, soprattutto, da Lanthimos ho imparato ad aspettarmi di più.

Kinds of Kindness
Emma Stone in “Kinds of Kindness” (Credits: Atsushi Nishijima / Searchlight Pictures)

O probabilmente a rendermi ostile verso Kinds of Kindness è stata l’interruzione di mezz’ora a metà della proiezione a causa di un black out – il quarto episodio da aggiungere al trittico che, paradossalmente, mi ha scioccato di più degli altri tre. 

Leave a Reply