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di giulia

Per iniziare, ci tengo a dire che seguo e ammiro JR da ormai molto tempo. Per questo motivo, prima di entrare nel dettaglio del suo documentario dello scorso anno Tehachapi – che ho avuto il piacere di vedere con lui in sala, alla passata edizione della Festa del Cinema di Roma –, è secondo me importante cercare di far capire, almeno un minimo, la poetica ricorrente in tutto il lavoro dell’artista. L’arte di JR è un’arte pubblica, nelle sue definizioni del termine date dalla Treccani: «Che riguarda la collettività»; «Che è di tutti»; «Che è accessibile a tutti, aperto a tutti, che tutti possono utilizzare, che non è di proprietà privata né riservato a persone o gruppi determinati»; «A cui può partecipare o intervenire chiunque»; «Fatto di fronte a tutti, in modo che tutti possano vedere o udire». Il suo obiettivo sin dall’inizio della sua carriera è, quindi, democratizzare lo spazio pubblico e rovesciare le strutture esistenti di potere e rappresentanza. Utilizzando pratiche talvolta definite sovversive, JR nega la cancellazione da parte del potere delle realtà disponibili (molto spesso intendendo le persone che ne fanno parte) e cerca di mantenerle storicamente vive. L’arte, in questo contesto, è un atto politico: esaltare sia i singoli individui che le società in primo piano, rompendo i codici.

“Tehachapi” di JR (Credits: JR).

Per portare avanti questa esaltazione delle realtà sociali, l’artista francese ha negli anni realizzato numerosi progetti di arte visiva, spaziando in diversi campi. Il suo mezzo preferito, se così vogliamo dire, è sicuramente la fotografia, sfruttando la tecnica del collage per realizzare stampe che possiamo definire monumentali. Questo però non l’ha fermato dal cimentarsi anche nel cinema documentaristico, co-dirigendo lavori come Omelia Contadina insieme ad Alice Rohrwacher, oppure l’incredibile Visages Villages, insieme alla nostra Agnés Varda. Partendo sempre dagli stessi ideali, questa volta però lavorando “da solo” (inteso solo insieme alla sua crew, fondamentale in ogni lavoro), Tehachapi si concentra sulla realizzazione di un grande intervento artistico, e sociale, all’interno del carcere di massima sicurezza di Tehachapi, in California. 

“Tehachapi” di JR (Credits: Camille Pajot).

Dopo uno studio delle diverse prigioni di massima sicurezza americane – che si basava principalmente sull’analisi degli spazi delle strutture, così da trovare un luogo dove fisicamente sarebbe stata possibile la realizzazione dell’opera – la crew si imbatte in una foto del cortile del carcere di Tehachapi, perfetto per il progetto. Tutto inizia quindi nell’ottobre del 2019, con JR che si reca direttamente nel deserto californiano, determinato a spiegare a dei carcerati come fare l’arte. I detenuti con i quali avrà a che fare saranno quelli di “livello 4”, il più alto, che negli Stati Uniti (o almeno in California) sono considerati i più pericolosi, seguiti dalle più alte misure di sicurezza e una costante supervisione. Questi uomini, dapprima dubbiosi e poco disposti a collaborare, iniziano con il tempo a fidarsi di questo strano uomo francese che indossa sempre un cappello e degli occhiali da sole e che, a differenza di tutte le altre persone che hanno incontrato nelle loro vite, non sembra avere pregiudizi su di loro. Così iniziano a condividere le proprie storie. 

“Tehachapi” di JR (Credits: Camille Pajot).

JR rompe il ghiaccio durante il primo incontro, spiegando come lui sia cresciuto non conoscendo il valore dell’arte: nessuno da bambino l’ha mai portato in musei o gli ha spiegato che con l’arte si può comunicare. Nonostante questo da giovane si è avvicinato al mondo della street art e della graffiti art, pratiche spesso ancora illegali, ecco il motivo dei suoi iconici occhiali neri e cappello, funzionali al non rivelare mai del tutto la sua identità. Anche il semplice atto di scrivere il suo nome su dei muri lo faceva sentire vivo e reale, parte del mondo. Entrando così nel cuore di questi uomini, saranno in molti a chiedergli – lo possiamo vedere già in questa anteprima – se è sicuro che il progetto non lo metterà in cattiva luce, che non ci saranno «ricadute» su di lui per aver scelto di lavorare con persone che hanno «fatto un torto alla società». Colpisce fin dalle prime scene del documentario la consapevolezza mostrata da questi detenuti, la conoscenza delle motivazioni che hanno portato alle loro pene, l’accettazione di essere entrati in quel luogo da bambini (scopriremo che molti sono stati condannati fra i 14 e 19 anni, alcuni anche da più piccoli) senza nessun prospetto di uscita. «Non prenderò parti» continua JR, «Lascerò a voi lo spazio di raccontare le vostre storie». 

"Tehachapi" di JR
“Tehachapi” di JR (Credits: Marc Azoulay).

Mentre ascolta ognuno di loro JR, aiutato dalla sua crew, scatta dei ritratti, che saranno poi stampati su grandi fogli di carta e incollati sul pavimento del cortile della prigione. Parallelamente a questo, online verrà riprodotta l’opera, con la possibilità di scaricare gratuitamente una app per ascoltare il racconto di questi uomini, cliccando sui loro volti. Nessun copione, nessuna direttiva: sia per quanto riguarda le loro pose che le loro parole, viene incoraggiata la libertà di espressione. L’unica regola è che il lavoro deve essere collaborativo, realizzato insieme. 

"Tehachapi" di JR
“Tehachapi” di JR (Credits: Jesse Watson).

Dal 2019 a oggi il progetto di Tehachapi ha avuto grande impatto. Negli anni l’artista è tornato nella prigione, proponendo nuove opere e ricordando ai carcerati che non è stato tutto fatto per caso, che vengono ricordati. JR ci racconta di come sia rimasto in contatto con molti di loro, come alcuni siano riusciti a correggere il loro pensiero, pentirsi e addirittura uscire dalla prigione. Non tutti hanno ottenuto questo grande risultato, ma la maggior parte ha sicuramente cercato il miglioramento. Fondamentale da ribadire è che mai vengono messe da parte o sminuite le loro colpe, viene semplicemente incoraggiato l’ascolto. Sono a conoscenza delle crudeltà spesso attuate all’interno delle prigioni, specialmente negli Stati Uniti, ma sentire qualcuno che in prima persona racconta di aver vissuto per anni in una gabbia, all’aperto, dopo essere stato condannato a decenni di carcere per un furto d’auto commesso da adolescente, è sicuramente di impatto. 

"Tehachapi" di JR
“Tehachapi” di JR (Credits: JR).

Dietro questo lavoro, oltre al suo fine principale di condivisione delle storie, sta sicuramente anche l’intento di far sentire lo spettatore, seduto comodamente sulle poltrone del cinema, in colpa. Questo non significa che dobbiamo giustificare le azioni di nessuno, perché dovremmo farlo noi quando neanche i diretti interessati cercano scuse? Quello che però Tehachapi riesce sicuramente a fare è ricordare a chi sta fuori che c’è sempre una speranza di un’altra realtà possibile, se magari non per tutti, almeno per chi ha il volere di provarci. Se vuoi che qualcosa cambi, devi per prima cosa credere che possa cambiare. 

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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