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di giulia

Andare ai festival del cinema spesso comporta la visione di numerosi film durante il corso della stessa giornata. Film che, con ogni probabilità, saranno anche molto diversi tra loro. Alcuni più impegnativi, altri meno, ma in linea generale può capitare che anche il più devoto dei cinefili arrivi al momento di entrare in sala per la sua quinta proiezione del giorno e si chieda: “ma chi me l’ha fatto fare?”. Ebbene, questo è ciò che è passato nella mia testa quando mi sono seduta sulle sedie del Verti Music Hall (fra le altre cose, le più scomode di tutta la Berlinale) per l’anteprima dei primi tre episodi di Supersex

Alessandro Borghi in “Supersex” (Credits: Netflix).

Una volta entrata in sala mi dirigo verso la fila dove di solito preferisco sedermi, quella a metà, con lo spazio per le gambe, scordandomi per un attimo che, essendo questa una premiere, quelle postazioni sono probabilmente assegnate al cast e ai vari ospiti. Trovando infatti il foglio con scritto “riservato” non solo su quella fila ma anche su numerose retrostanti, spinta dalla mia miopia decido quindi di scegliere un posto a caso più vicino allo schermo, subito davanti ai nostri VIP. Ci è voluto molto poco prima che la sala si riempisse di persone – italiane e non – che si litigavano una sedia intorno a dove ero io, estremamente elettrizzate all’idea di vedere dal vivo Rocco Siffredi. La storia di Siffredi non la conoscevo bene, certamente ho presente il soggetto, ironicamente sin da quando ero bambina, essendo stato (ed essendo ancora) una figura importante nella pop culture italiana. Ero ancora alle elementari quando Siffredi mangiava le patatine sullo schermo della televisione di mia nonna la mattina mentre facevo colazione prima di andare a scuola; quindi, possiamo in tutta sicurezza dire che è molto difficile, forse impossibile, non conoscere il personaggio di Rocco Siffredi. 

Marco Fiore in “Supersex” (Credits: Netflix).

Sapere chi sia però non significa conoscere la sua storia, alla quale ammetto di non essermi mai particolarmente interessata fino ad adesso. Arrivato il momento di far entrare in sala il cast, il direttore artistico del festival Carlo Chatrian introduce tutta la troupe e finisce chiedendo a Siffredi se ha qualcosa da dire prima di iniziare la visione, al che lui risponde in un inglese con un forte accento italiano e sfoggiando il suo riconoscibile sorriso: «Non ho molto da dire, sono solo felice che per una volta non vedrete sullo schermo i miei genitali (non ha usato esattamente questo termine, ma mi sono permessa di parafrasare), bensì i loro!» Indicando gli attori al suo fianco. Questa però, almeno per guanto riguarda i primi tre episodi, è una bugia: nessun full-frontal maschile è presente e le scene di sesso ci sono, ma niente di estremo o paragonabile a un prodotto tipo Love di Gaspar Noè. Sono sicura che l’erotismo aumenterà andando avanti con la serie, è stato già preventivato, ma per quanto riguarda il suo incipit Supersex si mostra molto più emotiva di quanto mi fossi aspettata. 

Saul Nanni in “Supersex” (Credits: Netflix).

Il primo episodio si apre con un Rocco già adulto (interpretato da Alessandro Borghi) alle prese con la fama, appena arrivato a un convegno sul porno a Parigi nel 2004. È qua che, durante una conferenza stampa, dopo che una strana e inquietante figura compare agli occhi dell’attore (o forse solo nella sua testa), Siffredi annuncia il suo ritiro. Senza spiegarci oltre, inizia un lungo flashback che trasporta lo spettatore a Ortona, dove Rocco Tano è ancora un bambino (Marco Fiore) qualunque, bramoso delle attenzioni della madre ma soprattutto del suo grande idolo, il fratello maggiore Tommaso (prima Francesco Pellegrino, poi Adriano Giannini). Rocco non sembra avere un’infanzia felice, dove tragedie familiari e bulli che non gli danno pace avranno la meglio su di lui. L’unico faro nella vita di Rocco da bambino sembra appunto essere Tommaso, il quale è per lui così tanto magico da essere l’unico a poter conquistare l’amore della bellissima, irraggiungibile Lucia (prima Eva Cela, poi Jasmine Trinca). Ci sarà però un evento cruciale che spezzerà il legame di Tommaso con la famiglia Tano, costringendo il giovane a lasciare indietro Ortona e il piccolo Rocco. 

Saul Nanni e Adriano Giannini in “Supersex” (Credits: Netflix).

Si passerà poi nel secondo e terzo episodio a stendere le basi che hanno portato Rocco Tano a diventare il tanto celebre “re del porno”. Un Rocco adesso diciannovenne (Saul Nanni) arriva a Parigi, dove Tommaso aveva vissuto insieme a Lucia tutti quegli anni in cui erano stati separati per colpa dell’astio degli altri componenti della famiglia. Qui Rocco, ancora completamente affascinato dal fratello che tanto amava, si troverà presto costretto a fare i conti con la realtà, scoprendo delle verità su Tommaso che non riesce bene a capire. Parigi sarà anche occasione per scoprire sé stesso, inizialmente attraverso l’affetto di Sylvie (Jade Pedri), che “sveglierà” qualcosa dentro di lui, qualcosa che non sarà più in grado di fermare. Rocco conosce così le strade di Pigalle, dove però non si sentirà mai a suo agio come in quel famoso night club dove incontrerà chi farà di lui una grande star. Arriviamo così all’albore della sua carriera nei film porno e qui ci fermiamo, con un Rocco Tano che lascia una volta per tutte spazio a Rocco Siffredi, grazie a una scena dove Borghi fissa lo schermo mentre gli viene ordinato, un po’ per gioco, un po’ per sfida, di avere un orgasmo davanti a tutti in dieci secondi esatti. 

Jasmine Trinca in “Supersex” (Credits: Netflix).

Ripeto, io della storia di Rocco Siffredi non mi sono mai interessata e quindi non ne conosco di principio i suoi passaggi; tuttavia, deduco che siamo qui solo all’inizio di quella che diventerà una trama sempre meno sentimentale e sempre più… complicata? Personalmente fatico, dopo la visione di soli tre episodi, a trovare il proposito della creazione di questo prodotto. Quella che per adesso tenta di essere una storia con molti aspetti del racconto “di formazione”, dovrà poi diventare, come viene suggerito nel trailer ufficiale, qualcosa di indiscutibilmente più provocatorio. Mentirei se dicessi che, nonostante i quattro film precedenti alle spalle, abbia faticato ad arrivare alla fine della proiezione. Il ritmo della serie è incalzante e la storia narrata, seppur con ogni probabilità alterata per una migliore risoluzione cinematografica, rimane comunque abbastanza realistica. O così riescono a farti pensare. 

Alessandro Borghi in “Supersex” (Credits: Netflix).

Nonostante una tutto sommato positiva partenza, sarà davvero Supersex il mezzo migliore per affrontare temi quali povertà, criminalità, mascolinità tossica, sessimo generalizzato, omofobia e problematiche del mondo del sexwork? Ai posteri (ovvero alla me del futuro che avrà visto il resto degli episodi), l’ardua sentenza.

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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