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di gemma

Manca sempre meno all’uscita del quarto e ultimo capitolo della serie tv de L’amica geniale, previsto per il 2024, che sotto la regia di Laura Bispuri porterà a conclusione, sul piccolo schermo, la storia dell’amicizia tra Lila e Lenù. La stagione finale della fiction, che nelle precedenti stagioni, dirette da Saverio Costanzo, Daniele Luchetti e Alice Rohrwacher, ha saputo tenere incollati allo schermo i lettori di Elena Ferrante (e non solo), è attesa con grande fervore dal pubblico italiano e anglosassone.

Ludovica Nasti e Elisa Del Genio nella prima stagione de “L’amica geniale” (Credits: HBO).

Uno degli elementi che emerge con maggiore forza dall’adattamento della tetralogia di Ferrante è, senza dubbio alcuno, il dialetto napoletano. Incorniciate dalla voice-off di Elena, affidata alla voce di Alba Rohrwacher, Ie voci dialettali dei personaggi restituiscono in maniera autentica la realtà sonora del rione, fotografando la situazione linguistica di dilalia dell’Italia del secolo scorso. La profonda amicizia tra Lila e Lenù, infatti, comincia proprio in un rione napoletano nel secondo dopoguerra: la loro infanzia è contraddistinta da violenza e povertà, ma nonostante tutte queste difficoltà nelle due ragazzine vi è una grande volontà di riuscire a emanciparsi grazie all’istruzione. L’italiano diventa per Elena, l’unica che tra le due amiche avrà la possibilità di proseguire i suoi studi, strumento di riscatto ed emblema di una possibilità di svincolarsi dalla realtà che la intrappola.   

L'amica geniale
Ludovica Nasti e Elisa Del Genio in “L’amica geniale” (Credits: HBO).

Anche nella tetralogia di Ferrante il dialetto partenopeo è fortemente presente, ma qui si comporta come una lingua silenziosa: esso, infatti, è sapientemente dosato, venendo solo evocato grazie al continuo uso di inserti metalinguistici che, di volta in volta, specificano se i personaggi si esprimono utilizzando l’idioma nazionale o la varietà dialettale, mentre i discorsi diretti sono scritti in italiano. Noi, in quanto lettori, veniamo resi perfettamente consapevoli della “marea dialettale” che avvolge i personaggi,  senza però mai avere la possibilità di notare i suoi usi concretamente realizzati nelle parole scritte Questa decisione di raccontare il napoletano, anziché esibirlo in maniera esplicita, a primo impatto, pare eliminare la presenza viva del dialetto. In realtà la scelta di Ferrante non mira a depotenziare la varietà dialettale, ma, al contrario, è una scelta di autenticità. Ne I margini e il dettato, una raccolta di saggi utile per tentare di comprendere il laboratorio che si cela dietro la scrittura de L’amica geniale, l’autrice racconta di aver provato ad inserire nelle pagine della tetralogia interi dialoghi in napoletano, ma di averli eliminati in un secondo momento perché il dialetto, una volta che viene bloccato sulla pagina, perde la vivacità che lo caratterizza: «la trascrizione dovrebbe dare una efficace mimesi dell’oralità; e invece, al mio orecchio, pare un tradimento». 

Gaia Girace e Margherita Mazzucco nella seconda stagione di “L’amica geniale” (Credits: HBO).

Per ragioni di comprensibilità, la serie televisiva è stata interamente sottotitolata. Scelta che si è rivelata vincente anche per la distribuzione all’estero della serie, in quanto L’amica geniale non ha perso la patina locale che la contraddistingue: la lingua originale è stata mantenuta e i sottotitoli sono stati tradotti nella lingua del paese dove la fiction è stata distribuita. Il prodotto di Costanzo, Rohrwacher e Luchetti è riuscito dunque a coniugare in maniera armonica la spinta tra global e local che caratterizza anche i romanzi, riuscendo a preservare l’aura di autenticità che caratterizza il rione di Lila e Lenù, ma rendendolo al contempo appetibile per un pubblico, come quello americano, totalmente estraneo alla realtà regionale italiana.

Gaia Girace e Margherita Mazzucco in “L’amica geniale” (Credits: HBO).

Ferrante è consapevole del fatto che il linguaggio letterario e il linguaggio filmico debbano essere trattati con modalità differenti. Mentre il primo si limita ad offrire le parole con le quali il lettore evoca quanto viene descritto e narrato, film e serie televisive riducono le possibilità di intervento del pubblico, il quale fruisce più passivamente delle scene che si susseguono sullo schermo, osservandone le immagini e ascoltandone le voci e i suoni. Ne consegue che nel linguaggio cinematografico non si può citare il dialetto senza utilizzarlo: è necessario che esso abbia «tutta la sua sonorità brutale, in coerenza con la messinscena realistica di spazi, di corpi», come afferma lei stessa in un’intervista apparsa su La Repubblica nel 2017. Pur trattandosi di due scelte all’apparenza opposte, l’assenza del dialetto (nella tetralogia) e la sua presenza mimetica (nella fiction), in realtà esse si muovono nella stessa direzione, ovvero verso il tentativo di non snaturare la realtà del rione, riproducendone i suoni, là dove udibili (sullo schermo) e lasciandoli “immaginare” in un paesaggio sonoro solo evocato (nella pagina scritta). 

L'amica geniale
Gaia Girace e Margherita Mazzucco in “L’amica geniale” (Credits: HBO).

L’adattamento de L’amica geniale, dunque, si presenta come un prodotto rispettoso della tetralogia: racconta in maniera fedele la complicata storia del rapporto tra le due protagoniste, tra violenza, invidia e profonda ammirazione, e riesce anche a riempire i vuoti verbali de L’amica geniale, traendo dal testo di Ferrante tutta la forza inespressa del dialetto partenopeo.

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