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di giulia

Avevo circa quindici anni quando l’ultimo film del franchise Hunger Games uscì al cinema, ne avevo ancora meno quando lessi tutti i libri uno dopo l’altro, rimanendo appositamente sveglia la notte come decine di altri miei coetanei. Ricordo ancora il giorno in cui andai in sala a vedere Hunger Games: Catching Fire – film che tutt’oggi considero di alto livello e lo dico senza paura –, ricordo che feci ansiosamente una foto allo schermo durante la primissima scena e che postai tale foto sui social con fierezza. Quando da adolescente apprezzi qualcosa, lo fai mettendoci tutto te stesso, o almeno nel mio caso era così. Ammetto che una parte di me, con la visione del prequel The Hunger Games: The Ballad of Songbirds and Snakes, sperava anche solo un minimo di rivivere quel sentimento giovanile. 

Rachel Zegler in “The Hunger Games: The Ballad of Songbirds and Snakes” (Credits: Lionsgate).

L’ultimo film di Francis Lawrence racconta di una Panem del passato, dove i cittadini di Capitol City, dieci anni dopo la fine della guerra e l’istituzione dei famosi Hunger Games, si sono ormai quasi del tutto annoiati dei giochi. Vedere giovani andare a morire per colpa delle trascorse ribellioni dei loro genitori non è più un’attività che suscita interesse, non tanto per l’orrore del fatto in sé (inquietantemente ignorato dalla maggior parte della massa), ma più per semplice noia. Il tentativo pensato dagli strateghi della Capitale per cercare di trovare il consenso del pubblico e continuare la realizzazione dello “spettacolo” sarà quello di affiliare a ogni tributo dai Distretti un mentore, scelto appositamente tra i giovani talenti della Capitol University (in pratica, i figli dell’alta borghesia). Lo studente più promettente che riuscirà a portare il proprio tributo alla gloria, non necessariamente alla vittoria, sarà onorato di ricevere il denaro del premio Plynth, nonché un biglietto diretto per il successo.    

Tom Blyth in “The Hunger Games: The Ballad of Songbirds and Snakes” (Credits: Lionsgate).

Viene così introdotto il personaggio di Coriolanus Snow (Tom Blyth), decenni prima di diventare il presidente tiranno di Panem. A lui viene affidata Lucy Gray Baird (Rachel Zegler), tributo del Distretto 12 – proprio quel Distretto dove 64 anni dopo Katniss Everdeen (Jannifer Lawrence) si offrirà volontaria per gli Hunger Games al posto della sorella, dando inizio alla storia che tutti conosciamo. Il giovane Snow è presentato come un ragazzo gentile, dedito alla famiglia e allo studio, un ragazzo orfano che ha vissuto gli orrori della guerra da bambino e ne conosce le conseguenze. Il film – a differenza del libro che, a quanto pare, mostra un dialogo interiore di Snow decisamente più diretto – quasi ti porta a empatizzare con quella che sembra solo una delle tante vittime che si sono trovate intrappolate negli intricati giochi di potere di una nazione che ha fatto dell’uccisione di massa un fenomeno mediatico di intrattenimento. Lo spettatore che è familiare al franchise rimane quindi in una posizione strana, trovandosi a sperare in un finale irraggiungibile di partenza, dove neanche la speranza più folle di un riscatto del protagonista potrà sovrastare la dura verità dei fatti. 

Rachel Zegler in “The Hunger Games: The Ballad of Songbirds and Snakes” (Credits: Lionsgate).

Lucy Gray Baird canta come un usignolo, è una ragazza che, come tante nei Distretti, deve lottare per sopravvivere a uno stato oppressore non interessato al benessere dei suoi cittadini ma piuttosto alla loro totale obbedienza, tuttavia è tutto fuorché una debole. Coriolanus, inizialmente convinto di una rapida sconfitta della ragazza nell’arena, riuscirà poi a vedere in lei una possibile occasione di ribalta. Rimane sempre sottilissima fra i due quella linea che discerne il sincero affetto dal semplice opportunismo. I due giovani non potrebbero essere più diversi, ma si troveranno qui costretti a fidarsi l’uno dell’altro per poter andare avanti. La performance di Tom Blyth è di alto livello per tutto il film, lasciando trasparire solamente da alcuni sguardi il desiderio di potere che si nasconde dietro il servilismo di un ragazzo che dice di voler solo fare il suo dovere. Emblematica una scena sul finale quando è ormai chiaro e tangibile il fatto che Snow ha ormai preso una piega irrecuperabile: sua cugina Tigris (Hunter Schafer) lo guarda dritto in faccia e dice con voce tremante “sei proprio come tuo padre, Coriolanus”. Sta parlando del padre che aveva combattuto ed era caduto nella guerra, il padre che era stato direttamente responsabile della creazione degli Hunger Games, il padre che aveva tanto disprezzato quei “ribelli” dai Distretti che avevano lottato per i propri diritti. 

Josh Andrés Rivera e Tom Blyth in “The Hunger Games: The Ballad of Songbirds and Snakes” (Credits: Lionsgate).

Unico in tutta questa cerchia di giovani viziati della Capito University che sembra rimanere fedele alla propria morale è Sejanus Plinth (Josh Andrés Rivera), figlio della famiglia incaricata di dare il famoso premio Plinth allo studente più eccezionale. Nel corso dei quattro film della serie principale, saranno in molti a seguire Katniss Everdeen verso la ribellione, qua però Sejanus viene guardato con occhi disprezzanti, e la sua insistenza nel mostrare il suo disdegno nei confronti del sistema corrotto è considerata un “fardello” da tutti. Ingenuamente una persona può quindi pensare che un “migliore amico” simpatizzante con la causa dei Distretti e una storia d’amore con una ragazza che letteralmente diventerà immagine di un canto di ribellione – grazie anche all’incredibile voce di Zegler – possano cambiare le cose. Se questa fosse una narrazione a sé stante le variabili appena elencate potrebbero di fatto dare vita a nuove possibilità per Coriolanus Snow, tuttavia questa non è la storia di un eroe, ma il racconto della nascita di un dittatore. 

Hunter Schafer in “The Hunger Games: The Ballad of Songbirds and Snakes” (Credits: Lionsgate).

Nonostante la politica sia motivo scatenante per molti dei fatti che accadono nel film, The Ballad of Songbirds & Snakes non sfrutta il punto di vista propagandistico al livello degli Hunger Games precedenti. Questo rende la trama opprimente in un modo mai sperimentato prima nel franchise: per quanto spaventosamente ricollegabile alla realtà, i film che vedono protagonista Jennifer Lawrence rimangono comunque un prodotto che non si dimentica mai di mostrare il proprio genere di appartenenza, quello del film distopico fantasy. Il prequel invece, per quanto sia ambientato nello stesso mondo immaginario che Suzanne Collins ha intelligentemente creato nei minimi dettagli, si avvicina un po’ troppo a un brutalismo reale. I giochi rappresentano solo un piccolo tassello nel puzzle creato dalla classe dirigente di Panem, raffigurano ancora una punizione portata avanti con l’intento di non dimenticare gli orrori della guerra, ma la risposta del popolo ad essi è passiva. Gli animi di tutti (cittadini della Capitale o dei Distretti in egual modo) sembrano di fatto semplicemente rassegnati. Coriolanus Snow forse non è un mostro, ma il risultato di un sistema dove accettare lo status quo ed essere crudeli diventa più semplice che lottare per un futuro dove sei tu stesso a dover dettare le regole. 

Rachel Zegler e Tom Blyth in “The Hunger Games: The Ballad of Songbirds and Snakes” (Credits: Lionsgate).

Sono entrata in sala con la speranza che Hunger Games: The Ballad of Songbirds & Snakes riuscisse a riportarmi alla memoria sentimenti passati, illudendomi di poterli vivere nuovamente con la stessa intensità di una me di ormai dieci anni fa. Sono invece uscita dal cinema sentendomi nostalgica e indecisa se il film mi sia di fatto piaciuto, in quanto prodotto ben riuscito, o semplicemente perché non posso che ammettere che sentire di nuovo la gente canticchiare inconsciamente The Hanging Tree durante i titoli di coda mi abbia causato qualche brividino. Una cosa è certa però, come diceva il buon Nanni Moretti: le merendine di quando ero bambino non torneranno più

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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