di emma
Nel dicembre del 1919, all’incirca 250 anarchici e comunisti – tra cui Alexander Berkman ed Emma Goldman – vengono forzatamente rimpatriati dal governo statunitense in URSS sulla cosiddetta “arca sovietica”. Cinque anni dopo, la medesima nave utilizzata per il loro viaggio viene affittata da Buster Keaton come set per il suo film, The Navigator. Navigators si propone di raccontare il lungo e burrascoso viaggio vissuto da questi individui non solo tramite fonti scritte, come ad esempio le autobiografie di Goldman e Berkman o i diari di viaggio dei vari deportati, ma utilizzando al contempo il film di Keaton come supporto visivo.
Navigators ha una fortissima componente pratica e fisica: non solo è interamente girato in pellicola, ma ogni suo singolo componente si mostra nella propria materialità, come i libri da cui sono tratte le citazioni e passaggi selezionati o i dischi (rigorosamente in vinile) che compongono la colonna sonora. A fungere da elemento fisico-materiale non è quindi il solo filmato d’archivio – è l’intero film a porsi allo stesso livello di esso. Tramite una stampante ottica, Teichner ha potuto recuperare e riportare su pellicola fonti diverse (tra cui appunto anche The Navigator): persino i cartelli contenenti i testi del film sono stati prima stampati in forma fisica e poi filmati. Inoltre, ciò che contribuisce a rendere Navigators un film particolare è la sua somiglianza con una fonte letteraria: tuttavia, l’elemento che lo rende tale non è la centralità della narrazione ma la sua struttura. Interamente realizzato in split screen e con una componente narrativa quasi interamente basata su dei testi scritti, Navigators si presenta allo spettatore come un libro aperto su due pagine – con tanto di note. Si tratta quindi di una proposta interessante e particolarmente innovativa di ricerca accademica – nonché personale.
A colpirmi, in sala, è stata proprio la forte empatia che ho provato con l’identità nascosta dietro la macchina da presa: qualcuno con una grandissima passione sia nei confronti dell’oggetto trattato che nel fare cinema, soprattutto dal punto di vista pratico.
Innanzitutto mi chiedevo se potessi descrivere il tuo rapporto con i physical media – specialmente in questo periodo in cui tutto tende a digitalizzarsi sempre di più. Mentre guardavo il film non ho potuto fare a meno di notare una vera e propria passione per l’aspetto pratico e materiale del fare cinema.
Mi interessano sia la caratteristica pratica di sviluppo del lavoro data dai supporti fisici – film, pellicola, suono – sia le possibilità estetiche che essi comportano. Riguardo alla pellicola, Navigators sarebbe stato completamente diverso se non avessi avuto la possibilità di utilizzare macchinari come la stampante ottica e la rostrum camera[1] presso il laboratorio L’Abominable[2]. Inoltre, ho comunque alternato strumenti analogici e digitali mentre mi preparavo ad utilizzare il laboratorio, durante la post-produzione e nella ricerca dei materiali – alcuni dei quali ho prima recuperato da archivi digitali e poi riportato su pellicola. Anche se non è reso particolarmente esplicito in Navigators, sono molto attratto anche da queste situazioni ibride, e penso che sia importante riconoscere che il modo in cui oggi comprendiamo e viviamo i supporti analogici è in parte condizionato dalla moderna ubiquità dei media digitali.
Sempre parlando di supporto analogico, volevo chiederti se potessi descrivere il ruolo avuto dei dischi in vinile sia nella colonna sonora di Navigators che nelle tue performance precedenti[3]
La colonna sonora è composta da una selezione di dischi 78 rpm (che sono in realtà fatti di gommalacca e non vinile) che ho riprodotto rallentandoli. Ho iniziato a rallentarli per la prima volta durante le performance dal vivo – ciò mi ha aiutato a provare diverse velocità di playback e a identificare diversi motivi sonori che eventualmente sarebbero poi diventati parte del film. Partendo dalla cronologia specifica della Red Scare[4] del 1919-1920, ho raccolto più dischi possibile provenienti da quel periodo anche se – a parte una breve riferimento ai “Bolsheviki” durante un monologo comico – non avevano una connessione diretta con gli eventi trattati nel film (nonostante alcuni dischi siano stati registrati nel periodo in cui i deportati erano in viaggio). Ho fatto qualche eccezione riguardante la periodizzazione nei casi in cui i dischi avessero collegamenti più espliciti con l’immaginario anticomunista – che chiaramente non è scomparso dopo la fine degli anni Venti. Un esempio è la canzone “Bolshevik”, incisa nel 1926 e presente verso la fine del film, nonché l’unico disco riprodotto alla sua velocità originaria. I dischi utilizzati per la colonna sonora sono principalmente insiemi di melodie e canzoni popolari di quell’epoca – dance orchestra, primo jazz, klezmer etc. – oltre che a registrazioni di monologhi di alcuni comici.
Dal momento che si tratta del tuo ambito di ricerca primario, qual è stato il tuo primo contatto con il genere della “slapstick comedy”[5]?
Durante la mia infanzia non ho avuto grandi contatti con la slapstick comedy; al contrario della Francia e dell’Italia, ho l’impressione che la maggior parte dei bambini statunitensi non vedano film slapstick – a meno che non facciano parte di una famiglia particolarmente cinefila o che li trovino in autonomia. Il mio interesse per questo specifico genere deriva innanzitutto da quello per la storia del cinema in generale: da quel punto di vista, i primi film che ho visto sono stati quelli dei registi/attori più canonici come Keaton e Chaplin. Stranamente, ho iniziato a diventare seriamente interessato al genere slapstick solo dopo essermi trasferito in Francia: prima come cinefilo e poi come ricercatore ho abbandonato l’approccio esclusivamente autoriale al genere comico. Anche se Navigators si concentra su Keaton, ho cercato di includere anche comici meno conosciuti dello stesso periodo: penso che sia importante non ridurre lo slapstick ad un gruppo ristretto di tre o quattro attori.
In più, da cinefila e da aspirante ricercatrice accademica, ero curiosa di sapere i tuoi pensieri riguardo l’intersezione tra cinema e mondo accademico – come, ad esempio, il video-saggio.
Penso che in questo momento all’interno della ricerca in ambito cinematografico si stiano esplorando un sacco di possibilità interessanti dal punto di vista pratico. Sono anche molto interessato ai video-saggi e sono contento di vedere che oggi sono effettivamente considerati una forma legittima di produzione accademica (vengono pubblicati in riviste accademiche, sono peer-reviewed etc.). I video-saggi – oltre che ai film saggio in generale – sono stati una delle mie fonti di ispirazione nella produzione di Navigators. Fino a poco tempo fa, portavo avanti la mia ricerca accademica e il mio lavoro come artista e filmmaker su due binari più o meno indipendenti, ma ora sto cercando di collegarli più esplicitamente tra di loro. Ho appena iniziato una recherche-création (come viene chiamata in Francia e in Canada), un progetto di ricerca post-dottorato a Parigi, che si concentra sul rapporto tra la commedia e la politica negli Stati Uniti durante il periodo della Grande Depressione. Ho intenzione di sviluppare questo progetto in primis attraverso video saggi, installazioni e lezioni-performance – e poi successivamente fare un film.
Per concludere, essendo stati entrambi spettatori del festival Archivio Aperto, volevo sapere se fossi stato colpito da qualche visione in particolare.
Per citarne un paio, Non-Aligned di Mila Turajlic, Scenes of Extraction di Sanaz Sohrabi, A History of the World According To Getty Images di Richard Misek, R21: Restoring Solidarity di Mohanad Yaqubi, Dearest Fiona di Fiona Tan, Herbaria di Leandro Listorti e la retrospettiva su Barbara Hammer. Ho visto la maggior parte dei film in concorso, che ho trovato tutti molto interessanti per diversi motivi: spero di recuperare i pochi che mi sono perso!
[1] Una “rostrum camera” è un tipo particolare di macchina cinematografica che viene utilizzata per ottenere una serie di effetti, tra cui quello di animare un oggetto o un’immagine ferma.
[2] L’Abominable è un laboratorio cinematografico interamente gestito da artisti e filmmaker con sede a Parigi, nonché il luogo principale della produzione di Navigators (www.l-abominable.org)
[3] Navigators, prima di diventare un film, esisteva sottoforma di performance composta da alcune proiezioni in contemporanea su più schermi con una sonorizzazione dal vivo.
[4] La Red Scare (in italiano “Paura rossa”) identifica il primo periodo di panico collettivo statunitense nei confronti della presunta influenza di comunisti e anarchici sulla società e sul governo (1917-1920). Successivamente, il termine verrà utilizzato per indicare anche la seconda ondata anticomunista degli anni Cinquanta – ovvero durante il maccartismo.
[5] Lo slapstick è un genere specifico all’interno dei film comici sviluppatosi principalmente nel cinema muto francese e nel cinema americano degli anni Venti e fondato su una comicità semplice legata al linguaggio del corpo.