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di giulia

Iniziamo questa diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma con il lungometraggio d’esordio alla regia di Paola Cortellesi: C’è ancora domani. Nuovamente nato da una collaborazione con Giulia Calenda e Furio Andreotti, il prodotto presentato al pubblico è un film studiato e sincero, che parla del passato ma che (purtroppo) facilmente risuona nella nostra vita di tutti i giorni. Dopo la visione, siamo andate a sentire che cosa avevano da dirci al riguardo la regista e il suo cast.

“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi (Credits: Rome Film Festival).

Siamo nella Roma del secondo dopoguerra, nei quartieri popolari vive Delia (Paola Cortellesi), moglie e madre di tre figli, una donna “comune”. Uno scenario che conosciamo bene e che abbiamo già visto in decine di pellicole, riportate alla nostra memoria grazie ai numerosi riferimenti al Neorealismo italiano. Come mai, però, la vita di Delia è così importante da raccontare? La moderatrice della conferenza stampa non perde tempo e chiede alla regista: «Da dove nasce questa storia? Non è la tua prima volta come sceneggiatrice, cosa ti ha spinto questa volta a buttarti anche nella regia?». Cortellesi risponde: «Questa è una storia nata passo passo dal lavoro con Giulia e Furio, portata avanti dalla voglia di raccontare la vita delle donne che nessuno ha mai celebrato, un po’ come quelle che le nonne e le bisnonne ci hanno raccontato: storie incredibili, storie che si consumavano nei cortili davanti a tutti, così a tutti abbiamo voluto mostrale. Volevo parlare di grandi donne che sono sempre state considerate nullità e che nel tempo si sono convinte davvero di esserlo. All’epoca c’era una totale inconsapevolezza, non ci si rendeva conto delle violenze, le domande non si potevano porre, a loro era stato insegnato che non contavano niente. Era giusto dare spazio a queste donne.»

“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi (Credits: Rome Film Festival).

Delia infatti si presenta sin da subito come una donna infelice, costretta a piegarsi costantemente al volere del marito Ivano (Valerio Mastrandrea), in un mondo dove maschilismo, divario di genere e povertà regnano sovrani. Le violenze verbali e fisiche da parte di Ivano sono continue, ma essendo lui capo assoluto e padrone della famiglia, come può mai la nostra protagonista anche solo pensare di avere diritto di difendersi? Nonostante il tono pesante e drammatico che sta alla base della narrazione, non sono pochi i momenti in C’è ancora domani che riescono a strapparti una risata. Dal pubblico arriva quindi la domanda: «É stato difficile trovare l’equilibrio tra le parte drammatiche e quelle di commedia?» Cortellesi spiega sorridendo: «Il doppio registro è stato una cosa su cui ci siamo interrogati molto, però è l’unico linguaggio che io conosco. Con Giulia e Furio abbiamo scritto insieme Come un gatto in tangenziale e Scusa se esisto!, storie con base drammatica. Ci siamo chiesti in questo caso quanto ci saremmo potuti spingere con le battute, considerando la storia di violenza domestica. Siamo arrivati alla conclusione che al tempo questo era un tema non trattato, quindi così lo abbiamo considerato: come qualcosa di ordinario, nello stesso modo in cui me lo raccontavano i miei nonni, con la voglia di sorridere sulle situazioni dure e talvolta surreali.»

“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi (Credits: Rome Film Festival).

Furio Andreotti prende qui la parola: «Siamo partiti da questa immagine e la forte volontà di Paola di raccontare questo tipo di donne. Quello che mi preme dire è che, ahimè, partendo da uno sguardo al passato stiamo parlando di temi che riguardano anche il presente. Il tono allegro da commedia è una cosa necessaria, soprattutto quando c’è da raccontare un tema importante a cui teniamo.»

Giulia Calenda aggiunge: «Questo film è esattamente come l’abbiamo ideato. Tutto sullo schermo è fedele a quello che avevamo pensato insieme sul terrazzo di Paola. Le ragazze di oggi sono ancora così, si sentono ancora di non valere mai abbastanza, nonostante gli obbiettivi raggiunti, è qualcosa che parte da un problema radicato in una cultura millenaria. Ci vorrà tempo, ma è importante parlarne.»

“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi (Credits: Rome Film Festival).

C’è ancora domani affronta la storia di una donna a noi lontana nel tempo, tuttavia gli schemi di poetere messi in scena sono a noi fin troppo familiari. Per questo dal pubblico in sala nasce spontanea la domanda: «è vero che il diritto al voto per le donne è stato un passo, ma sappiamo adesso di quanto in realtà sia stato piccolo. Quando Delia va a lavoro dall’ombrellaio e scopre che la sua paga è nettamente inferiore a quella dell’incapace ragazzo a cui lei avrebbe dovuto insegnare il mestiere, ci rendiamo conto di quanto ancora questa problematica sia attuale. Quanto volutamente sono stati inseriti questi richiami a oggi? Nel mondo del cinema è lo stesso? Questo divario è presente?» Paola Cortellesi afferma rapidamente: «Non c’è nulla di casuale nei temi che abbiamo trattato, abbiamo aperto gli atti processuali dei femminicidi per studiare e notare come la dinamica sia sempre la stessa. Una dinamica che purtroppo resiste. I passi sono stati fatti ed esistono oggi maggiori leggi, però nella realtà la discrepanza rimane. I rimandi al mondo contemporaneo sono tutti voluti, abbiamo insistito su questo per far notare come aspetti che ci sembrano così lontani hanno ancora delle fortissime radici nella vita contemporanea, specificatamente nel modo di vedersi delle donne. Certamente le differenze ci sono anche nel cinema, quando ero agli inizi ho sentito commenti tipo “non male, per essere una donna”. Queste sono parole che non ho mai più voluto ascoltare, però è un dato di fatto che sia successo. Ho avuto grandi opportunità nel mio mestiere, ma non sempre è onesto. Tutto ha attinenza alla realtà.»

“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi (Credits: Rome Film Festival).

Ulteriore conferma di come questa internalizzazione del maschilismo sia ben lontana dallo scomparire è presente anche solo nel film stesso. Basti guardare il comportamento di tutti i protagonisti maschili, tre generazioni di uomini che agiscono allo stesso modo senza mai tornare sui propri passi. Valerio Mastrandrea commenta: «Da questo film si possono tirare fuori un sacco di opinioni e convinzioni, l’unica differenza da ieri a oggi è che le donne adesso hanno molta più consapevolezza e trovano più coraggio. Quello che non è cambiato però è cosa trovano fuori. Purtroppo, le leggi non bastano, bisognerebbe affrontare la tematica in modo profondo e ci vorrà ancora molto tempo. Nell’uomo questa differenza non la vedo. Paola ha raccontato questa dinamica anche per mostrare di quanti alibi ha bisogno un uomo per nascondersi da quello che realmente è. Credo che dovrebbe essere uno dei compiti del cinema quello di raccontare anche gli uomini più deboli, non considerandoli dei perdenti, così che qualcuno ci si possa riconoscere per capire che non c’è bisogno di indossare questa maschera».

Giorgio Colangeli che interpeta Ottorino, il padre di Ivano, aggiunge: «È chiaro che c’è un’enfasi, io non ho conosciuto persone come il mio personaggio, ma ho ricordi di scene come quelle presenti nel film, ad esempio scene come quella dove i bimbi si accorgono che il papà avrebbe picchiato la mamma appena se ne sarebbero andati. Quello che il film racconta è che in realtà appunto non c’è nessuna evoluzione. Ottorino è il punto estremo, il figlio però ripropone tutto il modello ideologico e stessa cosa fa anche il Giulio, il ragazzo giovane, che sembra diverso all’inizio solo perché è innamorato (proprio come lo erano stati gli altri), però quello che prevale alla fine è la violenza. Emblematico il momento in cui Giulio dice alla fidanzata Marcella “tu sei mia. Ancora oggi l’amore viene spesso travisato in una dinamica di possesso che umilia tutti e due.»

Francesco Centorame, che interpreta per l’appunto il giovane Giulio, promesso sposo di Marcella (Romana Maggiora Vergano), termina la risposta: «Io mi ricollego a quello che è stato detto, credo ci sia un problema grave al di là delle leggi che tutelano qualcosa che vive e persiste. C’è un discorso di identità sociale che è ancora troppo sottovalutato perché si possa tentare un cambiamento. Non vedo però presente un reale interesse nell’educare al sentimento, al rispetto.»

“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi (Credits: Rome Film Festival).

La conferenza di conclude con un’ultima domanda rivolta ad Emanuela Fanelli e Vinicio Marchioni, che interpretano rispettivamente la migliore amica di Delia e un passato amore che ancora ha dei sentimenti per lei. Viene chiesto dalla moderatrice: «Voi rappresentate la negazione di tutto questo e la speranza che ci siano più uomini e donne come i vostri personaggi: come vi siete approcciati a ciò?»

«Nino è uno dei tanti uomini che amano le donne ma che vengono poco analizzati, sono stato contento di interpetare un personaggio che rappresentava la possibilità di dare un po’ di leggerezza a una donna come quella descritta da Paola» risponde Marchioni. Fanelli aggiunge concludendo: «Il mio personaggio anche doveva rappresentare leggerezza, oltre che una delle poche persona che vorrebbe la felicità di Dalia, spronandola non solo in ambito familiare ma anche nel lavoro e personalmente. Una spinta a vedersi in un altro modo in un momento storico cruciale per la questione femminile. La resistenza era avvenuta solo tre anni prima ed era stata forse la prima volta che le donne hanno iniziato a vedersi in modo diverso. Tutto era fresco nel ’46, si stavano scoprendo le possibilità. Ognuno di noi sceglie di lasciare le proprie eredità, il film finisce con una eredità importante che Delia lascia alla figlia. L’obbiettivo non era far passare l’idea che i maschi sono brutti e le femmine belle, noi volevamo che trasparisse la sincerità.»

“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi (Credits: Rome Film Festival).

C’è ancora domani è in conclusione un film dolce e forte allo stesso tempo, drammatico ma mai pesante, un film che in un modo o nell’altro tocca i tuoi sentimenti. Facile forse farlo, quando nella colonna sonora si mettono canzoni come La sera dei miracoli di Lucio Dalla, gli stessi miracoli che questa pellicola ci fa un po’ sperare possano avverarsi.

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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