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di ilaria

Siccità, film corale diretto da Paolo Virzì e presentato fuori concorso alla 79° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, racconta di una Roma arida e desolata attraverso le storie di una serie di personaggi differenti, ma legati tra loro. Nella capitale non piove, infatti, da tre anni e le riserve idriche sono ridotte al minimo. Il Tevere è completamente prosciugato; la città, ritratta da una fotografia cocente e quasi dolorosa, è ricoperta di polvere e avvolta da una luce giallastra, impietosa e accecante. Siccità, realizzato all’indomani della pandemia, è una commedia grottesca, una distopia e un dramma che affronta temi come la crisi ecologica e la fragilità umana. I personaggi messi in scena sono tutti, in un modo o nell’altro, consunti dalla stessa aridità che attanaglia Roma, soli e disorientati: emblematico è il caso di Antonio (Silvio Orlando), detenuto al carcere di Rebibbia che esce per errore e che si ritrova sperduto in una città che non riconosce, senza alcun punto di riferimento. 

“Siccità” di Paolo Virzì (Credits: Vision Distribution)

Nel film di Virzì la siccità colpisce innanzitutto i rapporti umani e la morale. L’acqua, diventata ormai un bene di lusso erogato con estrema parsimonia, è assurta a simbolo dei conflitti e delle paure dell’Italia contemporanea, della sua povertà, della disperazione complottista ed aggressiva, dell’avidità delle classi dirigenti, della spettacolarizzazione della sofferenza di cui si nutre un certo giornalismo ottuso e opportunista. Il vicino che spreca l’acqua per lavare la macchina o la dirimpettaia che innaffia le piante diventano il capro espiatorio per una popolazione esasperata e abbandonata da una politica che Virzì rappresenta in tutta la sua vacuità, con i suoi presidenti morti, uguali ai precedenti, e le sue task force inutili.

"Siccità" di Paolo Virzì
“Siccità” di Paolo Virzì (Credits: Vision Distribution)

Mentre gli hotel continuano ad alimentare piscine e bagni termali nonostante le proteste, Roma è ormai militarizzata, gli elicotteri pattugliano le strade e gli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti sono all’ordine del giorno. Come se non bastasse, in poco tempo un virus sconosciuto manda in tilt i reparti di terapia intensiva degli ospedali cittadini. Vettori della malattia sono probabilmente le blatte che infestano la capitale, inquadrate a più riprese e in ambienti diversi: presenti tanto nelle ville quanto negli scantinati, ci ricordano che questa crisi interessa davvero tutti e tutte e che la ricchezza non è una garanzia di immunità. Crisi idrica, economica, etica, identitaria – come nel caso del sedicenne Sebastiano (Emanuele Maria di Stefano), ignorato dai genitori e alla ricerca di sé – ma anche generazionale: mentre pranzano assieme nell’appartamento di Loris (Valerio Mastandrea)– angusto e soffocante come l’esterno, ma anche come la vita dell’autista – la giovane Martina (Emma Fasano) mette suo padre (che non riesce a capire le paure della figlia) di fronte alla gravità del collasso climatico e alle responsabilità delle generazioni precedenti.

"Siccità" di Paolo Virzì
“Siccità” di Paolo Virzì (Credits: Vision Distribution)

Tragicamente, è proprio la malattia a restituire un po’ di umanità e di calore a dei personaggi fino ad allora isolati e incapaci di comunicare. Loris, in terapia intensiva, si riavvicina a Sara (Claudia Pandolfi), la sua ex moglie e l’unica donna con cui sia mai stato felice; quando Sebastiano viene ricoverato, sua madre Mila e suo padre Alfredo si riabbracciano dopo tanto tempo, rompendo un lungo silenzio venato di incomprensione e frustrazione; Luca (Vinicio Marchioni), avvocato e marito di Sara, che tradisce (almeno virtualmente) con Mila (Elena Lietti), raggiunge la moglie e la stringe a sé proprio mentre, finalmente, comincia a piovere; ed è in ospedale che Antonio rivede sua figlia Giulia dopo venticinque anni.

"Siccità" di Paolo Virzì
“Siccità” di Paolo Virzì (Credits: Vision Distribution)

Ma Virzì non propone alcun lieto fine scontato. Non solo non sappiamo se Loris e Sebastiano guariranno, ma per altri personaggi, come Valerio (Gabriel Montesi) e Raffaella (Emanuela Fanelli), non c’è riconciliazione né riconoscimento. Non a caso, lungo tutto il film il contatto e il dialogo sono spesso indiretti, mediati o addirittura impossibili: si pensi a Loris, autista che vede i suoi clienti solo attraverso le specchietto retrovisore, e che, in un delirio dovuto forse alla malattia o forse alla solitudine, inizierà ad avere delle vere e proprie allucinazioni; a Mila, che scoprirà il disagio vissuto da suo figlio solo una volta letto il suo diario, e a suo marito Alfredo (Tommaso Ragno), attore decaduto con lo sguardo costantemente rivolto allo schermo di uno smartphone o di un pc; a Luca, che, incontrata Mila in ascensore, guarda la sua immagine riflessa nello specchio della cabina.

"Siccità" di Paolo Virzì
“Siccità” di Paolo Virzì (Credits: Vision Distribution)

La pioggia finale consente ai protagonisti e a Roma tutta di respirare e di avere un po’ di sollievo, ma non ci offre nessuna facile consolazione. Il destino dei personaggi resta incerto e precario, così come la tenuta di loro rapporti. Il finale di Virzì appare come un monito: ciò che conta è cosa succederà (e cosa sceglieremo di fare) dopo la pioggia. Sta a noi arginare l’avanzata del deserto. La siccità non è ancora finita. 

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