Skip to main content

di marco

In queste ultime settimane ha tenuto banco la discussione sulla cerimonia dei Premi Oscar, da sempre epilogo della Awards Season ed occasione per l’opinione pubblica di riassumere la stagione cinematografica. Tra momenti più o meno apprezzabili e le immancabili controversie, è passato un po’ in sordina il premio a miglior film d’animazione al Pinocchio in stop-motion di Guillermo Del Toro. Ormai uno degli autori più riconoscibili ed apprezzati dagli addetti ai lavori e dal pubblico, il regista messicano è diventato un habitué degli Academy Awards: i film da lui diretti hanno totalizzato 8 vittorie agli Oscar a fronte di 25 candidature, e domenica 13 marzo è diventato il primo cineasta capace di vincere Miglior film, Miglior regia e Miglior film d’animazione in carriera.

“Pinocchio” di Guillermo del Toro (Credits: Netflix)

L’esordio di Del Toro agli Oscar è stato nel 2007 con El laberinto del fauno (“Il labirinto del fauno”), horror fantastico ambientato poco dopo la fine della guerra civile spagnola. Oggi il film è verosimilmente il più apprezzato dell’autore: tra tutte le sue opere presenta le votazioni più alte su Metacritic, Letterboxd e IMDb, è stata la più votata nell’ultimo poll “The Greatest Films of All Time” di Sight & Sound ed ha persino influenzato artisti insospettabili come Taylor Swift, già nota fan del regista. 

“Il labirinto del fauno” di Guillermo del Toro (Credits: IMDb)

Un’altra grande virtù attribuibile a El laberinto del fauno, probabilmente la più importante, è stato l’aver portato all’attenzione internazionale e al mainstream i postumi immediati della Guerra Civile Spagnola. Il cinema ispanico ha sofferto per decenni una censura, in forma sia diretta (operata dal regime franchista) che indiretta (con il Pacto del Olvido), che ha contribuito ad alimentare il rifiuto all’oblio storico e la volontà di rivisitare i fantasmi del passato. In questo senso è fondamentale ricordare non solo la Ley de Memoria Histórica del 2007 ma anche altre testimonianze cinematografiche che invitano a ricordare le vittime del franchismo, tra cui Salvador di Manuel HuergaCarne trémula e il bellissimo Madres Paralelas di Pedro Almodóvar.

“Il labirinto del fauno” di Guillermo del Toro (Credits: IMDb)

Sebbene i meriti di Guillermo Del Toro siano inconfutabili, è altrettanto lampante che El laberinto del fauno (pur sempre una coproduzione internazionale uscita trent’anni dopo la morte del Generalísimo) non possa essere considerato il precursore di questo sentimento; piuttosto, è palese come sia stato ampiamente influenzato da una pietra miliare del cinema spagnolo. Lo stesso regista messicano ha affermato più volte che il film in questione è stato imprescindibile nella sua formazione e che alcuni elementi hanno ispirato alcune sue opere, tra cui l’esordio CronosEl espinazo del diablo e, appunto, El laberinto del fauno

“Il labirinto del fauno” di Guillermo del Toro (Credits: IMDb)

L’opera in questione nonché oggetto di questo articolo è Lo spirito dell’alveare (El espíritu de la colmena), diretta da Victor Erice nel 1973 quando Francisco Franco era ancora dittatore di Spagna. Come evidenziato in alcuni studi[1], si può parlare del film come precursore della prima fase filmica del regista messicano: non sorprende che siano presenti varie similitudini tra questo ed El laberinto del fauno, che riguardano sia idee di trama che alcune scelte della messinscena.

“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

Tuttavia, emergono delle discrepanze significative tra le due pellicole. In primis, i diversi anni di uscita implicano un differente approccio alla critica del franchismo:  mentre il film di Del Toro, una grande produzione internazionale del ventunesimo secolo, appare decisamente esplicito e didascalico, Erice ha dovuto optare per un tono più implicito, misterioso e ricco di simbolismo per aggirare la censura dell’epoca. Questa spaccatura evidenzia inoltre uno sbilanciamento nel peso del social commentary a favore del film del 1973: se gli intenti di quest’ultimo appaiono più chiari, genuini e coraggiosi, la dimensione politica de El laberinto del fauno risulta spesso schiacciata da un universo fantasy fin troppo compiaciuto della sua tecnica e della sua estetica. Non è un caso che, per lo scrittore e regista Vicente Molina Foix“la fissazione per la guerra civile spagnola [di Del Toro] non è un atto politico, ma soltanto un’intuizione estetica”[2].

Lo spirito dell'alveare
“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

Parlando nello specifico de Lo spirito dell’alveare, è ambientato nella campagna spagnola nel 1940 e tratta la passione di bambina chiamata Ana per il Frankenstein di James Whale (penso non sia un caso che Del Toro voglia farne un remake con Mia GothAndrew Garfield e Oscar Isaac): il rapporto tra Ana e il film diventa sempre più simbiotico, con quest’ultimo che finirà per plasmare il modo in cui la bambina si rapporta con la famiglia, con la guerra civile e con il mondo esterno. La pellicola è passata alla storia come una delle più influenti ed importanti nella storia del cinema spagnolo, e la critica concorda nel definirla “inafferrabile, misteriosa, ambiguo, inquietante, ed evocativa[3].

“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

La vicenda ruota attorno a Fernando (Fernando Fernán Gómez), uno studioso egocentrico e ossessionato dalle api (da qui, in parte, il titolo), sua moglie Teresa (Teresa Gimpera), preoccupata per una persona imprecisata a cui invia lettere tramite un indirizzo della Croce Rossa in Francia, e le due figlie della coppia, la già menzionata Ana (Ana Torrent) di sei anni e sua sorella Isabel (Isabel Tellería) tre anni più grande di lei. La trama, molto frammentaria, rimescola scorci delle attività quotidiane della famiglia con pensieri e azioni suscitati dalle visioni delle ragazze, in particolare per quelle che Ana ha sul Frankenstein di James Whale.

“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

La critica odierna ha spesso speculato sulla scelta del Frankenstein in chiave simbolica. In primis, il mostro potrebbe rappresentare molti elementi: la Spagna franchista, un paese che ha perso la propria memoria e la propria moralità; il fascino di Ana per qualcosa di misterioso, diverso e sconosciuto; il padre della bambina, visto attraverso la dicotomia edipica amore-paura che, per estensione, simboleggia il regime franchista. In queste visioni più politiche, la ribellione attuata da Ana nella seconda parte del film altro non è che un elaborato rito iniziatico attraverso cui la ragazza adotta le abitudini sociali del mostro, malviste all’epoca, per rifiutare i dettami imposti dal regime. Tuttavia, un’altra chiave di lettura meno politica associa l’affascinamento di Ana per il mostro ad una celebrazione del potere immaginativo dei bambini, elemento ripreso anche da Del Toro ne El laberinto del fauno.

Lo spirito dell'alveare
“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

L’esegesi del film offre dunque diversi spunti, a partire dal commento sociale e politico della Spagna all’inizio degli anni ‘40. Sebbene la censura dell’epoca non potesse permettere alcun riferimento esplicito ai desaparecidos, lo “spirito” a cui fa riferimento il titolo è in parte il fantasma della Guerra Civile, presenza che gli spettatori devono “riconoscere” e rispettare, come Ana fa col mostro, per aumentare la coscienza storica persa e repressa durante il franchismo. Alla luce di quanto accennato in precedenza sulla legge del 2007, ad emergere ad una prima visione è il tema della memoria storica. Il film ricostruisce una sorta di spazio post-traumatico attorno a ferite che potrebbe non guarire mai, associando la Spagna dell’epoca a stati d’animo di angoscia, orrore, incubo e perdita di innocenza. Inoltre, il film associa sporadicamente la crisi di Ana con la crisi di una nazione, lasciando all’immaginazione dello spettatore l’esistenza di qualche abuso latente e non rappresentabile nei confronti di Ana, correlando ulteriormente la disciplina disfunzionale del padre a quella del regime franchista.

“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

Uno dei luoghi chiave del film è il fienile: qui è dove il soldato repubblicano ferito si nasconde inizialmente, viene trovato e curato da Ana e infine fucilato. Per la bambina il fienile diventa parte integrante dell’esperienza traumatica: Ana lo scopre dopo una lezione di scienze in cui è messo insieme un uomo di metallo come Frankenstein. L’importanza della sequenza che porta dalla scuola fienile è notevole e si allontana dagli spazi della memoria in quelli del trauma e della nostalgia, altri elementi fondanti della pellicola[4].

Lo spirito dell'alveare
“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

Per comprendere meglio quest’ultimo punto, occorre sottolineare non solo il periodo di lavorazione e di uscita ma anche la lettura critica che è stata effettuata sul film. Come già accennato in precedenza Lo spirito dell’alveare è diventato il punto di accesso alla già menzionata cultura della memoria storica per molti studenti contemporanei e, simultaneamente, il film quando era uscito si poneva come memoria per chi aveva vissuto la guerra come esperienza traumatica e ne aveva sofferto. L’antropologa Joëlle Bahloul evidenzia come gli spazi domestici del film escludono ed alienano i personaggi[5], facendoli sentire come in esilio e distaccandoli dalla casa, simbolo per antonomasia di genealogia e di tramandamento di usi e costumi.  La casa del film di Erice, con le sue tante stanze e le numerose porte che rivelano corridoi e luci, è uno spazio carico di ricordi, come lo sono le rovine castigliane spesso mostrate nel film ed anche il fatiscente fienile dove si nasconde il soldato repubblicano.

Lo spirito dell'alveare
“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

Per ampliare la dimensione traumatica del film, occorre fare riferimento non solo alla memoria storica spagnola ma anche alla crescente letteratura che collega gli effetti postumi di guerre ed eventi come l’Olocausto sulla società. Diversi registi, come Theo Angelopoulos nella meravigliosa Trilogia della Storia greca, hanno cercato di declinare il trauma storico come evento privato e collettivo allo stesso tempo, evidenziando l’impossibilità di confinarlo all’interno di parametri spaziali e temporali perfettamente circoscritti. In questo senso, l’impianto favolistico del Frankenstein di Whale può essere visto come simbolo della portata atemporale del trauma, e il modo in cui Ana vede il mostro può implicare un meccanismo di difesa che inconsciamente attuiamo quando affrontiamo una paura collettiva come, appunto, la guerra.  Erice sceglie di non mostrare direttamente gli orrori della guerra, ma il silenzio dei personaggi e dell’ambiente suggeriscono l’attuazione di meccanismi di rimozione individuali e collettivi per far fronte a situazioni traumatiche. La scena dell’incubo ed il finale protendono per questa suggestione: il vuoto che sente Ana quando scopre la morte del soldato rappresenta il vuoto di un’intera nazione prosciugata dalla Guerra Civile.

Lo spirito dell'alveare
“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

Per una visione più approfondita a livello psicoanalitico può aiutare quanto scritto sul film dallo psicologo e psicoanalista Andrea Sabbatini. Secondo le teorie psicanalitiche dello sviluppo, alla base delle fantasie di grandiosità e onnipotenza usate per gestire le ansie derivanti dai nostri limiti, si trova il narcisismo infantile primario e, in particolare, la convinzione dei neonati che il seno materno sarà sempre a loro disposizione su richiesta. Uno dei miti più importanti dell’800 era il desiderio di creare nuove vite attraverso il riassemblaggio di organi morti, impresa destinata ad un esito tragico nelle varie versioni di Frankenstein: questa fantasia infantile viene accolta e riformulata da Ana e da sua sorella.  Attraverso la ricerca solitaria dello spirito del mostro, le bambine sperano di incontrare quella comprensione e quell’affetto che non pensano di poter ricevere dai genitori; di trovare, insomma, un essere sufficientemente in sintonia col loro mondo interiore e comprensivo dei loro insolubili dilemmi esistenziali riguardo al bene e al male, alla vita e alla morte, al corpo e alla sessualità. La fantasia di Ana verrà stroncata e soppressa dagli eventi nella vita reale, portando alla graduale perdita di innocenza e testimoniando l’incapacità di immaginazione e di creatività tipica dei regimi.

Lo spirito dell'alveare
“Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice (Credits: IMDb)

Queste sono solo alcune delle chiavi di lettura del film del 1973: alcuni si sono soffermati sulle caratteristiche dell’infanzia mostrate nel film[6], altri lo hanno paragonato a To Kill a Mockingbird[7] ed un filone più contemporaneo ha evidenziato tematiche di genere all’interno del rapporto tra Ana, il mostro e la figura autoritaria del padre. Quel che è certo è che Lo spirito dell’alveare resta un titolo imprescindibile nella storia del cinema spagnolo, un’opera ipnotica e suggestiva piena di lirismo e di momenti toccanti. Consiglio a tutti la visione per il suo cinquantesimo compleanno, in particolare agli appassionati di gothic horror, agli amanti di ghost stories e a chi ha sempre trovato affascinanti i lavori sulla memoria storica e collettiva di un popolo.


[1] Miles, Robert J. “Reclaiming Revelation: Pan’s Labyrinth and the Spirit of the Beehive.” Quarterly Review of Film and Video, vol. 28, no. 3, 15 Apr. 2011, pp. 195–203, (https://doi.org/10.1080/10509200802641028).

[2] Molina Foix, Vicente. “Mexican Gothic”, December 2006. (Accessed August 28, 2008, http://www.letraslibres.com/index.php?art=11729)

[3] Willem, Linda M. “Text and Intertext: James Whale’s Frankenstein in Víctor Erice’s El espíritu de la colmena.” Romance Languages Annual IX (1998): 722-25. (Available from: http://digitalcommons.butler.edu/facsch_papers/395).

[4] Perriam, C. (2008): El espíritu de la colmena: Memory, Nostalgia, Trauma, in: “Resina”, J. R. (ed.): Burning Darkness: A Half Century of Spanish Cinema. SUNY Press, New York, pp. 61–81

[5] Bahloul, Joëlle. “Lecturas precarias: estudio sociológico sobrelos poco lectores”. Tr. Alberto Cue. México: Fondo de Cultura Económica, 2002. 163 p.

[6] Harper, S. (1991), “The Concept of Childhood in Víctor Erice’s El espíritu de la colmena,” España Contemporánea 4 /2, 77–88.

[7] Fiddian, R. (2019). “El espíritu de la colmena/The Spirit of the Beehive (Víctor Erice, 1973)”. In “Spanish cinema 1973–2010”. Manchester University Press. (https://doi.org/10.7765/9781526141781.00008)

Leave a Reply