di alberto
I registi Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis uniscono le forze per mettere in scena un mondo antico e spietato, romanticamente impervio nella sua naturalezza, spettacolare nei costumi e nelle ubicazioni. In conclusione, un’opera ambiziosa del cinema italiano contemporaneo.
la costruzione della leggenda
La pellicola si sviluppa in due capitoli: il primo è ambientato in una favolesca Italia bucolica di fine Ottocento che condivide aspetti scenografici medievaleggianti. Il protagonista è un emarginato sociale, figlio di un ricco borghese locale, che si scaglia contro il principe signore di quel luogo per una discordia personale. Il secondo capitolo, seguendo la sorte del personaggio principale, cambia totalmente atmosfera, spostandosi sulle catene montuose dell’Argentina, aggiungendo alla trama tinte narrative vicine al filone cinematografico western revisionista e non convenzionale. In questa ultima parte la storia si evolve per mostrare un’ambientazione più vicina ad un determinato tipo di paesaggio sconfinato, selvaggio e incontaminato, in cui sono presenti pochi umani. Questa manciata di personaggi comprimari sarebbero gli sventurati compagni di viaggio, sospettosi l’uno dell’altro, che vagano alla ricerca di un lauto tesoro misterioso.
meta-narrazione e lirismo moderno
Il lungometraggio inzia con la presenza di veri anziani laziali, raccolti attorno a un tavolo per testimoniare personalmente agli stessi autori del film la storia leggendaria di Luciano (Gabriele Silli), un emarginato, ubriaco e sbandato, ma che si distingueva per l’intelligenza ed era contrario ai soprusi dei potenti. Il suo puro amore per Emma (Maria Alexandra Lungu), giovanissima ragazza del villaggio, e la sua ardente sconsiderata passione lo porteranno all’inevitabile condizione di outsider. In questo intreccio meta-narrativo i vecchi cacciatori svolgono quasi una funzione di narratori e la loro reale esperienza da cantastorie ricorda l’interpretazione cinematografica favolistica “pasoliniana”, dove la presenza di “non attori” si mescola a quella di attori professionisti, reificando ulteriormente la fantasia di questo epico viaggio.
una favola senza morale e lieti fini
Il ritmo della pellicola ponderato e riflessivo contiene comunque picchi di tensione che culminano in momenti di vera eccitazione come il finale, che trasporta lo spettatore grazie a un climax struggente, catartico ed estremamene travolgente. Il dinamismo delle accese luci naturali e le riprese ampie e ariose sono elementi che elevano la regia, condividendo un’estetica speciale che esalta entrambi i capitoli in maniera complementare. Questa moderna rievocazione collettiva di leggende popolari si mescola all’avventura, al dramma, al genere romantico, e abbraccia anche temi religiosi cristiani del lirismo popolare come la religione o semplicemente la condizione umana di fronte alla Fortuna. Questo racconto di racconti, filmato con maestria prima come una favola pastorale e poi come una fuga irrequieta in una landa desolata, racconta il topos mitico della ricerca di riscatto dell’eroe sul mondo e sulla sua condizione, attraverso l’estenuante fatica di combattere con costanza il presente in maniera non apologetica.