di virginia
In occasione della 34° edizione del Trieste Film Festival, Mila Turajlić ha presentato il suo ultimo lavoro, Non-Aligned: Scenes from the Labudovic Reels, documentario incentrato sulla figura di Stefan Labudović, cameraman personale di Tito per oltre trentacinque anni.
“In realtà, ho sempre voluto fare un film sul movimento dei paesi non allineati, nel 1989 si è tenuto l’ultimo vertice della conferenza dei paesi non allineati e a scuola sono venuti due cameraman a illustrare il progetto. Si tratta, per me, di un ricordo di infanzia molto bello, ho sempre avuto il desiderio di ritornare sul tema e, nel processo di documentazione, sono riuscita ad accedere e vedere l’archivio, prima di incontrare Stefan Labudović, quando stavo realizzando il mio primo film, Cinema Komunisto. L’istituzione dei cinegiornali jugoslavi era molto interessante perchè rispondeva direttamente al governo jugoslavo e avevano uno specifico modus operandi che mi interessava indagare.”
“Sapevo dell’esistenza dell’archivio ma non di una collezione su cui nessuno aveva lavorato, ovvero tutti quei materiali che riprendevano e si incentravano sul movimento di liberazione africano. Mali, Tanzania, Mozambico, Algeria: erano tutti paesi in buonissimi rapporti con la Jugoslavia. Per il mio primo film sono stata inviata in Algeria e ho notato che il popolo ha avuto una reazione molto positiva al mio film; all’inizio non capivo perchè, poi mi sono resa conto dell’attaccamento degli algerini a questa pagina di storia. Mi sono accorta che, in un certo senso, pur provenendo da paesi diversi, parlavamo la stessa lingua e credo sia stato quello il momento in cui ho realizzato quale fosse il senso dei paesi non allineati.”
“Ho incontrato e conosciuto Stefan in un festival in Algeria, quando ancora non conoscevo la portata della sua storia e del suo lavoro. Stefan è incredibilmente rispettato in Algeria e praticamente sconosciuto a Belgrado; era stato il cameraman di Tito per quasi trentacinque anni, ha filmato per tre anni la guerra di liberazione algerina e ha trascorso un periodo a Mozambico e in altri paesi dell’Africa. Il motivo per cui Stefan è diventato il cameraman di Tito lo ritroviamo proprio a Trieste: era stato inviato dal capo di stato come reporter a Lubiana, in particolare come corrispondente per la crisi di Trieste, al momento Stefan era il cameraman più vicino al confino per filmare quanto stava avvenendo. Il materiale che ha registrato qui, in questa città, lo ha consacrato come miglior cameraman in Jugoslavia dell’anno, consentendogli di vincere prestigiosi premi.”
“Sono sempre stata interessata al progetto del Terzo Mondo, dove il cinema aveva svolto un ruolo fondamentale. Il cinema non aveva solo documentato la nascita di questo progetto ma veniva continuamente usato dai paesi promotori per creare un’immagine di ciò che facevano, perchè potessero creare e affermare la propria immagine politica. Ho iniziato a cercare negli archivi le immagini che venivano usate per creare un’idea politica concreta: con l’archivio si è creato un rapporto di fiducia molto stretto, mi hanno lasciato vagare libera e utilizzare il materiale. Queste immagini, avevo l’impressione che fossero “orfane” sotto ogni punto di vista: ideologico, politico. Nessuno poteva raccontare queste immagini perchè, a questa altezza di tempo, fanno capo ad un paese che non esiste più: la Jugoslavia non esiste più e non c’era nessuno che potesse rivendicarne la paternità ad eccezione di Stefan, ultimo testimone di questo mondo. La sua generazione era stata l’ultima a conoscere e a raccontare questa storia, era come se queste immagini galleggiassero nella storia ma ne fossero al tempo stesso escluse e questo, credo, abbia aggiunto un livello di drammaturgia alla pellicola.”
“Per me, fin dall’inizio, questo film doveva essere un viaggio. C’è una sorta di elemento che chiamerei cinegeografia, confrontandomi con gli archivi c’era una grande quantità di cinegiornali ambientati all’estero. Tito ha viaggiato in Africa, in Asia ed era molto importante che Stefan ci portasse là, era importante recarsi nei luoghi dove si sono svolti gli eventi per capire gli eventi stessi e confrontarsi con le persone che li hanno vissuti in prima persona.”
“Credo di aver svolto, all’interno del mio film, anche inconsciamente, il lavoro di affrontare questi “buchi neri” nella nostra memoria collettiva. Abbiamo vissuto diversi sconvolgimenti politici, soprattutto in Jugoslavia, e questo ha portato il governo alla decisione di cancellare la memoria del periodo dei paesi non allineati: è una storia che non è stata trasmessa alle giovani generazioni. Credo che questo film possa aprire spazio alle voci politiche, anche per colmare lacune e riempire i vuoti di memoria. Non mi sento di aver fatto un film sul passato ma sul presente e, se vogliamo, anche sul futuro: possiamo dare un messaggio diverso, esiste una terza via e l’immaginario politico è molto più ampio di quanto si creda.”
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