di pavel
Mascarade, in uscita nei cinema italiani il 21 dicembre sotto il titolo storpiato di Masquerade, e accompagnato da un sottotitolo mediocre come ‘Ladri d’amore’, è stato presentato quest’anno a Cannes fuori concorso. Nicolas Bedos, figlio del compianto Guy Bedos (feticcio di Yves Robert), firma la sua quarta regia ad un lavoro che, col senno di poi (e col senno di poi intendo la vittoria di Triangle of Sadness), avrebbe avuto tutto il diritto di concorrere alla Palma d’Oro. Il bell’attore-sceneggiatore-regista francese, di cui non avevo visto ancora nemmeno un film, scrive un thriller a tinte erotiche condito da una comicità esuberante cifra dell’intellectualité parisienne, con l’aiuto di battute sagaci ma mai volgari e scenette che ricordano il teatro più squisitamente brechtiano.
Il film, girato tra Nizza, Cannes e Montecarlo, vede le vite di due giovani assopigliatori, Adrien (Pierre Niney) e Margot (Marine Vacht), incrociarsi tra cene eleganti in sontuose ville provenzali e progetti di truffe da Sothbey’s. I due, che vivono alla giornata, dipendendo di volta in volta da tristi e rimbambiti mecenati in decadenza, si incontrano ad una festa organizzata da Martha, attrice teatrale di vecchia fama, interpretata dalla grandiosa Isabelle Adjani, con la quale Adrien intrattiene una relazione ambigua a base di sesso e acquisti preziosi. A proposito del sesso, non pensavo che esistesse un film che in 130 minuti potesse contenere così tante scene d’amplessi da far impallidire la serie di pornoarte inaugurata da 9 Weeks and 1/2; poi ho visto Mascarade. Ovviamente, i due giovani aitanti si innamorano: tutto il racconto espone la pianificazione e il tentativo della loro fuga romantica, tra test di paternità, ricatti, flashforwards in un’aula di tribunale (così come piace al neothriller statunitense), ferite da auto procura e improvvise esplosioni di gelosia.
Sulla scia di una Charade o dell’hitchcockiano To catch a thief, Bedos ci regala una pellicola dai colori saturi, brillanti, con scenografie che ricordano quel retrò felliniano e e una scrittura che funziona nel suo dispiegarsi: l’apparente prevedibilità della prima parte cela, in realtà, una capacità di rinnovare le strutture e gli stilemi entro cui questo genere di cinema si è impostato, e i vari colpi di scena disseminati nel corso d’opera sorprendono soprattutto perché la premessa non si propone di farlo. La bidimensionalità dei personaggi sorprende un po’ meno, invece, ma non è questo il punto: Mascarade, che prende in prestito il corrispettivo francese di ‘farsa’, si pone come una perfetta messinscena dai contorni esageratamente patetici senza la pretesa di stupire. Una fresca, freschissima Laura Morante, in un ruolo chiave per l’intreccio, corona un perfetto cast di portenti che non sfigura sotto la mediocrità del narrato, anzi.
Pur se Bedos ha speso fiotti di soldi per la realizzazione, e di questo ne sono indizio le scene girate sulla Croisette e l’utilizzo nella colonna sonora di famigerate hits mondiali (va bene Kylie Minogue, ma chissà quanto gli sarà costata Ma che freddo fa di Nada, a mio parere bastava anche una unreleased di Bobby Solo), questa deliziosa farsa riesce a decorare una serie di luoghi comuni con eleganza, complice anche un bel montaggio e un’ottima regia, senza rinunciare ad un’accorata linea critica che punta a prendere in giro i maschi boomer, ad esaltare il coraggio femminile e a ridere dei ricchi stolti. Che poi tutto il film riuscirebbe ad essere anche una frecciata allo stato di salute della monogamia coniugale occidentale: purtroppo però, la leggerezza della trama, la laccatura della scena e i parrucconi di Adjani superano qualsiasi lettura filosofica dell’opera, così da non dover suscitare nessuna intenzione di analisi interlineare. Perfetta visione per una domenica di pioggia e noia, Mascarade è anche la conferma che persino le commedie mediocri riescono meglio ai francesi che a noi.