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di virginia

Sandrine Kiberlain, Vincent Macaigne ed Emmanuel Mouret incontrano la stampa in occasione della presentazione di Chronique d’une liaison passagère a France Odeon, festival del cinema francese. L’incontro si è svolto all’Istituto Francese di Firenze ed è stato moderato dal direttore artistico del festival, Francesco Ranieri Martinotti. In quella che – alla fine – si è rivelata una conversazione durata più di un’ora, ho fatto solo una domanda, la prima (fondamentalmente perchè ho paura di quei silenzi imbarazzanti che calano quando viene dato il via alle domande). La riporto giusto perchè Mouret si è degnato di rispondermi ma, per fortuna, sono seguiti interventi molto più mirati e approfonditi del mio.

Perchè è stata scelta La Javanaise di Serge Gainsbourg come tema del film?

Mouret: All’inizio dei lavori il montatore mi ha proposto questa canzone, che, sì, è una canzone bellissima, ma gli ho chiesto perchè me la volesse proporre. Mi ha detto che gli sembrava una canzone perfetta e sapeva che era tra le mie preferite, così l’ha inserita. (Sì, La Javanaise è anche una delle mie canzoni preferite – cover comprese -, per questo ero incuriosita dalla scelta. Poi mi ricordo che è anche una delle canzoni francesi più famose di sempre composta da uno dei cantautori francesi più famosi di sempre ma tant’è, ormai ho chiesto).

Intervista Kiberlain Macaigne Mouret
Intervista a Kiberlain, Macaigne, Mouret (© Daniel Vulin, Debora Savian, Francesco Galaverni, Gianfranco Luigi Pellegrini)

Nel frattempo, Martinotti, che modera l’incontro, definisce i film di Mouret un “orologio svizzero” per la precisione con cui i dialoghi sono scritti e ricorda come la critica internazionale abbia definito il regista, in numerose occasioni, il “Woody Allen francese”. Mouret scherza, dichiarando di non sapere chi sia questo Woody Allen. Procede a chiedere agli attori com’è stato lavorare con Mouret. 

Kiberlain: È molto importante, anche perchè il testo è stato scritto in modo tale da farci sentire enormemente coinvolti. Ci è servito moltissimo perchè il film è basato sul testo ma anche sui corpi degli attori e abbiamo lavorato il testo per poi metabolizzarlo e in qualche modo liberarcene, di modo da lasciar parlare tutto il resto, ovvero, i corpi. C’è stata grande disponibilità da parte di Emmanuel per realizzare tutto questo, voleva dare il giusto peso e la giusta enfasi anche al movimento e al ritmo di recitazione. I due protagonisti si inseguono continuamente e noi, come attori, non dovevamo stancarci ma seguire i loro movimenti. La cosa bella di questo testo è che era scritto in maniera molto fine, intelligente. È un testo sottile che include tematiche molto importanti e sono rimaste dentro di noi, ci sono cose che sono rimaste molto impresse, addirittura alcuni amici mi hanno chiesto se potevo far recapitare loro la sceneggiatura da tanto che gli interessava. C’è da sottolineare anche il fatto che i personaggi sono scritti così bene da non usare le stesse parole e non parlare allo stesso modo, con delle personalità tradotte dal testo in modo così diversificato e preciso. Poter far trasparire certe emozioni e far vedere allo spettatore quello che nemmeno i protagonisti vedono è molto interessante.

Intervista a Kiberlain, Macaigne, Mouret (© Daniel Vulin, Debora Savian, Francesco Galaverni, Gianfranco Luigi Pellegrini)

Vincent Macaigne fa per rispondere ma si interrompe quando vede che un giornalista sta per porre una domanda. Martinotti gli ricorda, allora, di aver posto la domanda a entrambi gli attori. Alla fine, Mouret prende la parola e toglie tutti dall’imbarazzo.

Mouret: Voglio aggiungere qualcosa e rendere giustizia anche alla nozione di testo. So bene di essere quello che scrive ma volevo che i due personaggi avessero tanto piacere nell’usare le parole quanto nel fare l’amore e, quindi, volendo rendere a Cesare quel che è di Cesare, l’idea della sceneggiatura – ormai molto lontana – ha visto un’evoluzione quando è entrata a contatto con gli attori, che aggiungono dettagli e diverse sfumature al testo. Scopro il testo grazie al lavoro degli attori e il fatto che il testo sia scritto per filo e per segno in anticipo, in realtà, non è esattamente la verità: il testo continua ad evolversi e sia la scrittura che il lavoro degli attori contribuiscono a costruire i personaggi. 

Alla domanda che viene posta da un collega sul contrasto che c’è nei film di Mouret tra il gesto e la parola e su quanto spazio rimane agli attori per riscrivere o per improvvisare il testo, risponde Macaigne.

Macaigne: Non c’è molta improvvisazione, all’interno del testo, almeno in confronto a molti altri film in cui ho recitato in passato. I dialoghi sono rispettati e uno dei motivi di questo rispetto del testo è la presenza di un quadro, di una struttura, che permette una certa energia nelle scene. Emmanuel cerca l’energia che può scatenarsi dalle inquadrature: ci sono momenti in cui un personaggio esce dal campo o per permettere di far apparire un’ombra o per dare risonanza a una parola. C’è un forte e solido lavoro di costruzione con il cameraman e gli operatori ma, allo stesso tempo, Emmanuel è un regista che condivide molto fare il cinema. Naturalmente, dobbiamo conoscere bene il testo, è la regola del gioco ma anche la premessa per lavorare bene insieme. Emmanuel crea dei film molto vivi, pieni di divertimento. Poi, sì, ci possono essere, certo, momenti di improvvisazione.

Intervista Kiberlain Macaigne Mouret
Intervista a Kiberlain, Macaigne, Mouret (© Daniel Vulin, Debora Savian, Francesco Galaverni, Gianfranco Luigi Pellegrini)

Martinotti abbozza una domanda sulla persona con cui il testo della sceneggiatura sarebbe stato scritto in collaborazione, cioè Pierre Giraud, ma subito Mouret lo interrompe: Pierre Giraud, in realtà, – spiega il regista – è un attore e io ho partecipato ad un laboratorio di scrittura dove lui era allievo. Mi ha proposto scene con due personaggi molto interessanti e quindi abbiamo fatto evolvere queste scene. Mi ha chiesto se potessimo tirarne fuori un cortometraggio ma, siccome a me piacevano moltissimo, gli ho chiesto di mandarne altre e questo ha impegnato diversi mesi. Alla fine è diventata una bozza di sceneggiatura, anche se mancava molto lavoro da fare. Gli ho chiesto di poter rubare, prendere possesso di questa bozza e trasformarla. Quello che trovavo interessante era proprio la premessa iniziale della storia: questi due personaggi che si impegnano a non impegnarsi e quindi a togliere i sentimenti dalla loro relazione. Questo poteva creare una situazione di suspence molto interessante e nella scena iniziale si percepisce benissimo la bomba nascosta sotto al tavolo che rappresenta l’innamoramento. Tra le altre cose che ho trovato interessanti nella storia è che vediamo i personaggi solo durante i loro appuntamenti e mai in altre situazioni della loro vita. Non si può avere un’opinione e nemmeno un’opinione morale sul resto della loro vita: tutti questi aspetti sono nascosti, vediamo degli amanti ma come se fossero degli innamorati.

Intervista Kiberlain Macaigne Mouret
Intervista a Kiberlain, Macaigne, Mouret(© Daniel Vulin, Debora Savian, Francesco Galaverni, Gianfranco Luigi Pellegrini)

Macaigne: È vero che si può pensare a dei punti in comune tra Woody Allen ed Emmanuel Mouret – ma, tutto sommato, non così tanto. C’è sempre, alla fine, in Mouret, una forma di speranza nell’incontro e, al tempo stesso, momenti di disperazione e malinconia. I personaggi che scrive sono liberati dal loro contesto sociale e la loro sfida diventa incontrarsi senza giogo sociale. La trovo una cosa molto rassicurante e allegra, questa sfida che propone nei suoi film. Forse non dovrei, ma farò un confronto con Sex and the City, che nuota in un mare di incontri sociali! Quello che è interessante nei film di Mouret è proprio il “miracolo del’incontro”, senza che entrino altri fattori. Un uomo cammina e incrocia una donna e da lì deriva un incontro amoroso, con tutte le conseguenze e i danni collaterali che possono seguire. In molti film, invece, quando vediamo un incontro, sappiamo bene da quali ambienti provengano e conosciamo bene il contesto. Tutto parte da un libro che probabilmente ci ha influenzato moltissimo negli anni Settanta, L’amore nell’occidente, che definisce l’inizio della passione amorosa dei trovatori, poesia che si cristallizza in una storia come quella di Tristano e Isotta, dove la passione vive e nega il contesto sociale che li circonda. Si isolano da questo contesto sociale e da lì ha inizio la loro catastrofe. 

Martinotti dichiara di voler tornare alla sceneggiatura e Macaigne ride (forse perchè è la terza volta che il direttore artistico rivolge una domanda sul testo al regista e ai due attori protagonisti). Definisce Mouret non solo un cineasta, ma anche un drammaturgo per la vicinanza che i suoi testi mostrano nei confronti dei dialoghi che spesso si portano a teatro. Kiberlain interviene subito interrompendo la domanda: No, secondo me, invece, è un testo molto cinematografico. 

Intervista a Kiberlain, Macaigne, Mouret (© Daniel Vulin, Debora Savian, Francesco Galaverni, Gianfranco Luigi Pellegrini)

Martinotti aggiusta il tiro. Questo volevo dire, – precisa il direttore artistico – la scrittura è molto precisa sulla concezione dei personaggi con dialoghi dettagliati e che rappresentano molto bene le psicologie e le dinamiche del racconto. Però, poi, tutto questo viene trasformato nella fase della messa in scena, dalla scrittura al cinema. Ecco, capisco che Sandrine non è d’accordo e questo mi interessa: quanto tu hai ricevuto per la prima volta la sceneggiatura, quali sono stati gli elementi che ti hanno fatto accettare questo film? Quanto, poi, attraverso il tuo ruolo di attrice, di interprete, è cambiato il personaggio rispetto all’inizio?

La domanda è rivolta a Kiberlain ma è Macaigne a rispondere: Nel nostro mestiere c’è sempre un testo iniziale ma la sfida del lavoro con Emmanuel è di mostrare allo spettatore che non c’è opposizione tra testo e vita: si parte sempre dalla parola scritta, esistono ormai pochissimi film di pura improvvisazione e poi, se io mi accorgo che voglio parlare con tutti di questa sceneggiatura, con i miei amici, con i miei vicini di casa, con tutti, allora vuol dire che siamo veramente presi da questa energia vitale che Mouret propone nei suoi testi. C’è una fede, nel suo cinema, nei suoi film, per l’uso della parola ma anche per il movimento del cinema e per la musica: una delle scene più belle del film è quella in cui noi usciamo e si vedono le scenografie senza i protagonisti. 

Intervista a Kiberlain, Macaigne, Mouret (© Daniel Vulin, Debora Savian, Francesco Galaverni, Gianfranco Luigi Pellegrini)

Mouret: Abbiamo realizzato letture insieme, non tanto delle prove. Sandrine e Vincent sono arrivati a girare conoscendo già bene il testo e sono state soprattutto letture prima di iniziare le riprese. 

Sandrine: Forse è proprio questo il punto, cioè che noi avevamo già tutto pronto e conoscevamo bene il testo. Se avessimo fatto delle prove avremmo probabilmente fissato nella storia cose sbagliate. Abbiamo scoperto il film mano a mano che si faceva, sia noi che lo staff tecnico. Se avessimo provato troppo questo film, probabilmente avremmo sabotato qualcosa!

Mouret recupera la domanda di Martinotti sull’accostamento dei suoi testi al mondo del teatro: La grande differenza tra cinema e teatro è che a teatro ci sono prove per settimane intere: prove con il costume, prove con la scenografia, prove generali… al cinema, invece, è diverso: si scopre qualcosa di nuovo nel corso della realizzazione. Si è, paradossalmente, molto più immersi nel presente. Si tengono le riprese migliori e ne vengono realizzate diverse.

Sandrine: Ci sono registi che fanno lunghe prove ma sono situazioni meno divertenti perchè trasmettevano un’impressione di già fatto, già visto. Il cinema è qualcosa di istantaneo, trovarsi nella situazione del momento. Quello che trovo commovente è questo “contratto” invisibile del riporre fiducia l’uno nell’altro. Ci fidiamo e fare delle prove e delle ripetizioni un po’ ti fa sentire un baro, come se venisse meno il contratto di fiducia che abbiamo risposto gli uni negli altri. Se dobbiamo ripetere molte volte la stessa scena significa che, poi, alla fine, non siamo così tanto sicuri della buona riuscita dell’operato dell’altro.

Mouret: Non ci è mai capitato di discutere così tanto fra di noi di recitazione, magari è perchè ci troviamo in Italia, che è un po’ la patria della recitazione e della commedia!

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