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di giulia

★★★

Il “sogno americano

Pensiamo al celebre concetto del cosiddetto “sogno americano”: un quartiere soleggiato fiancheggiato da palme, grandi case con cucine completamente attrezzate e piscine blu cobalto. Uomini che vanno a lavoro in completi sartoriali e mogli che stanno nel comfort della propria casa a occuparsi delle faccende domestiche. La visione della vita famigliare perfetta che possiamo definire quasi utopica si è da sempre insinuata — nelle sue diverse declinazioni — nelle profondità di Hollywood. A partire dai drammi televisivi classici come Quarto potere di Orson WellesLa vita è meravigliosa di Frank Capra fino a condizionare fortemente l’estetica di film più tardivi come quelli diretti da Tim Burton e David Lynch.

Questo è ciò che gli uomini vogliono. Restrizioni mascherate sotto l’immagine di un idillio per tenere la propria moglie lontana dagli occhi e dalla mente. La casa e il suo quartiere proteggono le donne dalle fatiche di una vita di lavoro, del mondo esterno vile e crudele. O almeno questa è la versione immaginaria della vita familiare americana del dopoguerra che i film ci vendono. Ancora oggi Hollywood tende a non abbandonare completamente questo motif del sogno americano. Anche uno dei film più discussi dell’ultima stagione pone le sue radici nella costruzione di questo paradiso artificiale. Si tratta di Don’t Worry Darling, scritto da Katie Silberman e diretto da Olivia Wilde

Olivia Wilde e Chris Pine in "Don't Worry Darling" di Olivia Wilde
Olivia Wilde e Chris Pine in “Don’t Worry Darling” di Olivia Wilde (Credits: Warner Bros)

Trama centrale di Don’t Worry Darling: il progetto Vittoria

Il film si svolge in una cittadina del deserto che prende il nome dal Progetto Vittoria, che da lavoro a tutti gli uomini della città. Tutto sembra bello e grazioso, le elegantissime case a schiera tutte uguali, le macchine di lusso, i perfetti e curati giardini. È un quartiere amichevole e — dato che la storia è ambientata in un periodo che, come abbiamo accennato, ricorda gli anni ’50 americani, senza però mai dichiararlo apertamente — più vario di quanto ci si aspetti. Ma Wilde fa capire fin da subito che c’è qualcosa che non va: tutto è troppo ordinato, troppo uniforme e troppo, troppo perfetto, compresi i sorrisi delle donne.

Gli uomini che abitano in questa ridente cittadina del film sono attentamente (quasi ossessivamente, oserei dire) curati. Rappresentano l’immagine del perfetto lavoratore in carriera, ma se ci fermiamo a leggere tra le righe ci rendiamo conto che questi mariti non sono particolarmente accattivanti e certamente non sono neanche intrepidi o eroici. Nonostante questo le “loro” donne sorridono costantemente, in modo esagerato, allargando le loro bocche così tanto da sembrare finte bambole. 

Florence Pugh in "Don't Worry Darling" di Olivia Wilde
Florence Pugh in “Don’t Worry Darling” di Olivia Wilde (Credits: Warner Bros)

Il mistero semi-svelato

Qualcosa inizia a turbare la protagonista del film Alice (Florence Pugh) non molto tempo dopo l’inizio della pellicola. Come il resto delle mogli ogni mattina saluta il marito Jack (Harry Styles) mentre va al lavoro. Ogni sera, con un cocktail in mano e un banchetto pronto sulla tavola, Alice lo accoglie, vestita e pettinata in modo impeccabile. Outfit che vedremo ben presto sparire, rimarcando ancora una volta le fantasie del marito. Per gran parte del resto del tempo, lei pulisce la casa, lucidando, passando l’aspirapolvere e lavando. La fotografia (di Matthew Libatique) è adeguatamente luminosa e nitida, i colori sono accentuati, stessa cosa vale per le musiche e soprattutto per il costante suono in sottofondo di una misteriosa voce maschile che canticchia un accattivante motivetto.

Wilde è così presa dal mondo che ha meticolosamente creato — con la sua patina colorata, i numerosissimi bicchieri da martini e i poster di James Bond — che fa nascere ben presto nello spettatore un senso di disagio, anche se non si capisce del tutto da dove provenga. Così, mentre Alice fluttua nella sua vita onirica, arriviamo a un momento in cui Wilde porta il personaggio a far visita al carismatico capo del Progetto Vittoria, Frank (Chris Pine), la cui casa sembra un appartamento per scapoli uscito da un antico numero di Playboy, tranne che in questo caso anche lui è ovviamente accompagnato da una bellissima moglie, Shelley (Gemma Chan).

Gemma Chan e Florence Pugh in "Don't Worry Darling" di Olivia Wilde
Gemma Chan e Florence Pugh in “Don’t Worry Darling” di Olivia Wilde (Credits: Warner Bros)

Un film che continua a tornare sullo stesso punto

Ma anche quando la dissonanza aumenta e Alice capisce che c’è qualcosa che non va, il film si blocca. Alice si perde nei suoi pensieri, sembra perplessa, ha delle allucinazioni ma poi all’improvviso sembra tornare a essere meno perplessa. Così ripartiamo da capo. Spesso durante il film si tende a provare una sensazione di stallo, Wilde abbraccia insistenti motivi visivi — come quello del cerchio — che, dopo la seconda, terza, quarta volta che vengono utilizzati, perdono la loro incisività e utilità. Si percepisce l’intento che sta dietro l’eccessiva ripetitività, ma l’effetto scade sempre di più di volta in volta, diventando una metafora involontaria di un film che continua a tornare sullo stesso punto.

Ogni volta sembra che Wilde voglia finalmente svelarci alcuni dei segreti per farci entrare di più nel mistero della sua cittadina, ma poi subito torna indietro sui suoi passi e la climax si ferma tornando a una situazione di apparente tranquillità. Non è uno scoprire i pezzi del puzzle in sequenza ma si va avanti e indietro, ci viene spesso accennato qualcosa che poi non viene approfondito. Sembra quasi che la regista voglia seguire il motivo del “mistero caotico” alla Lynch però, a differenza di quest’ultimo, non riesce a lasciarci completamente all’oscuro di tutto. 

KiKi Layne e Florence Pugh in "Don't Worry Darling" di Olivia Wilde
KiKi Layne e Florence Pugh in “Don’t Worry Darling” di Olivia Wilde (Credits: Warner Bros)

Il legame con il mondo contemporaneo

Silberman e Wilde hanno visto un parallelo tra l’ansia maschile degli anni Cinquanta e Sessanta e il contraccolpo antifemminista contemporaneo. Il Progetto Vittoria al centro di Don’t Worry Darling nasce da una setta di uomini che scopriremo essere (attenzione, da qui seguiranno numerosi spoilers) insicuri e deboli. Feriti dal successo delle proprie mogli che non hanno adempiuto ai loro “doveri femminili” come nelle loro più perfette fantasie, si convincono di poter rubare loro la propria vita con la scusa di proteggerle e accudirle nel migliore dei modi. Ma ci rendiamo presto conto che è tutta una finzione nata dalla loro irresolutezza e dal desiderio di essere la metà con maggiore potere decisionale della coppia.

Quando finalmente Wilde decide di svelarci i segreti della sceneggiatura scopriamo che entrare nel “Progetto” dal mondo reale implica drogare la propria partner e collegarsi insieme a lei a un mainframe di realtà virtuale, pronto a portarti direttamente sotto il finto sole di una finta città in una finta dimensione. È una tecnologia fondata sui principi del diritto dell’uomo di essere servito dalla moglie e di darle in cambio stabilità, comfort e protezione. Un ritorno a un’immagine di vita familiare “ideale” e “tradizionale” del passato.

Florence Pugh in "Don't Worry Darling" di Olivia Wilde
Florence Pugh in “Don’t Worry Darling” di Olivia Wilde (Credits: Warner Bros)

La verità

Le crepe nel Progetto Vittoria iniziano a manifestarsi sempre più frequentemente. Alice mette in discussione la realtà abilmente costruita intorno a lei, per tornare alla sua vita di chirurgo che trae valore dal proprio lavoro, piuttosto che da quello del marito. Svegliandosi da questa fantasia maschile e prendendo sempre più coscienza di sé stessa, Alice recupera il suo potere nei momenti finali di Don’t Worry Darling, prima che l’immagine svanisca nel nero dei titoli di coda (lasciandoci però capire, grazie a un rumoroso sospiro, che qualcuno, da qualche parte, si è risvegliato). In questo modo, Wilde cerca di ricordarci l’illusoria tradizione della “mistica femminile” condannata a partire da quei “magici” anni Cinquanta, secondo quale tutte le donne si realizzerebbero grazie ai lavori domestici e all’educazione dei figli.

È un ritorno alla seconda ondata del femminismo, per attaccare i tentativi della cultura patriarcale di rigurgitare le dinamiche di genere del passato nel XXI secolo. Don’t Worry Darling si propone quindi di esplorare una tirannia, travestita da felicità domestica. Non si tratta di un’idea nuova, ma d’altronde, se vogliamo essere sinceri, non ce ne sono molte in generale di idee completamente nuove nel corso dell’intero film. Guardare Florence Pugh — impeccabile come sempre, con una recitazione che diventa uno dei punti di forza concreti del film — mentre cerca di mettere in guardia tutti dalle sinistre sfumature all’interno di un’ambientazione gioiosa, fa tornare alla mente il suo lavoro viscerale in Midsommar, anch’essa interpretazione magistrale che ha aiutato la giovane attrice a raggiungere il suo meritato successo attuale. 

Florence Pugh and Harry Styles in "Don't Worry Darling" di Olivia Wilde
Florence Pugh and Harry Styles in “Don’t Worry Darling” di Olivia Wilde (Credits: Warner Bros)

Le scelte sul cast di Don’t Worry Darling 

Pugh è davvero una potenza, potenza che rende ancora più evidente che Styles, alle prime esperienze con la sua carriera da attore, non sia ancora del tutto pronto per questo ruolo. Durante i numerosi e intensi litigi della coppia non riusciamo a percepire la tensione che quelle precise scene avrebbero dovuto esaltare. Allo stesso tempo però possiamo intendere la scelta di casting come una scelta intelligente: tutto di Styles, anche fuori dal suo contesto specifico, urla pop star e icona.

Se consideriamo che il suo personaggio sia pensato per essere bello e obbediente verso il Progetto, lui ne ha sicuramente l’aspetto. Non sarebbe folle credere, data la fama che lo precede e l’influenza che ha su un numero così vasto di persone, che tutti noi oggi vivessimo in una sorta di simulazione dove Harry Styles è visto come l’immagine dell’uomo perfetto. È interessante riflettere inoltre che Shia LaBeouf, inizialmente scritturato per il ruolo e poi licenziato dal set — evento che ha creato un notevole gossip intorno questo film durante la sua presentazione ai vari festival– sarebbe stato forse meno adatto a passare come il giovane e serio uomo d’azienda in ascesa. 

Harry Styles in "Don't Worry Darling" di Olivia Wilde
Harry Styles in “Don’t Worry Darling” di Olivia Wilde (Credits: Warner Bros)

Il finale del film

Pugh e Pine, d’altro canto, quando si circondano verbalmente e si attaccano l’un l’altro, creano quella scoppiettante tensione che avremmo tanto voluto vedere anche nelle litigate tra Alice e Jack. La cosa ironica è che il mantra di Frank e la moglie Shelley per i loro adorati cittadini è quello del controllo: l’importanza di tenere a bada il caos, di mantenere la simmetria e l’unità, di vivere e lavorare come un tutt’uno. Ma quando Don’t Worry Darling raggiunge la sua conclusione clamorosa e involontariamente esilarante, con tanto di inseguimenti in auto dalle più classiche caratteristiche, Wilde si affretta a svelare il mistero finale con una serie di sequenze che ho trovato intrattenenti, ma che ci lasciano perplessi e storditi.

Il lavoro degli attori e di gran parte di coloro che stanno dietro le quinte e contribuiscono alla creazione di un lavoro di grane portata come Don’t Worry Darling, fa si che il film tenga alta la nostra attenzione costantemente, fino al suo finale senza fine. Sarà però molto probabile che, arrivati alla conclusione delle sue due ore, la pellicola vi lasci con numerose domande senza risposta, domande che con altrettanta probabilità potranno dare vita a conversazione addirittura più accattivanti e profonde di quelle presenti nello stesso film. Il che, forse, può anche essere considerato da molti un bene, data la sempre più comune tendenza del cinema a fornire agli spettatori prodotti che non richiedono una particolare analisi critica finale. 

Florence Pugh in "Don't Worry Darling" di Olivia Wilde
Florence Pugh in “Don’t Worry Darling” di Olivia Wilde (Credits: Warner Bros)
Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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