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di giulia

Glassboy è la storia dell’undicenne Pino (Andrea Arru) che, animato da un grande desiderio di libertà e da un coraggio senza limiti, inizia la sua avventura nel mondo, intenzionato a dimostrare a tutti che anche lui può vivere una vita come gli altri ragazzi. A causa di una malattia genetica pericolosa per la vita (l’emofilia, mai esplicitamente nominata), Pino è rigorosamente confinato nella sua grande villa, lontano da un mondo che tanto lo affascina ma che può vedere solo a distanza, attraverso la finestra della sua camera. Nonostante la sua immaginazione e l’amore dei suoi attentissimi genitori (Georgia Wurth e David Paryla), Pino non fa che sognare di poter vivere come gli altri ragazzi e unirsi agli Snerd, un gruppo sgangherato di amici che lui osserva da tempo giocare nella piazza dove affaccia la sua casa. Tutto cambia dopo un incontro inaspettato con Mavi (Rosa Barbolini), che lo mette alla prova dandogli la possibilità di far parte della banda. Mosso dalla volontà di conoscere quella realtà a lui tanto vicina ma allo stesso tempo tanto estranea, il ragazzo intraprende un percorso di crescita personale, mettendo alla prova le proprie debolezze e andando contro le rigide regole di nonna Helena (Loretta Goggi), determinata a mantenere l’ultima parola nel destino di suo nipote. I guai saranno all’ordine del giorno ma nonostante questo, grazie all’aiuto del suo nuovo gruppo di amici, Pino riuscirà finalmente a intraprendere la sua personale lotta per la libertà.

Scena dal film ‘Glassboy’ di Samuele Rossi (Credit: Solaria Film)

Abbiamo avuto occasione di chiedere al regista Samuele Rossi di raccontarci qualcosa in più sul suo film e su tutto il lavoro che c’è stato dietro al progetto, raccogliendo questa serie di riflessioni sulla pellicola.

Come è nata l’idea per questo film, perché hai scelto di cimentarti in un genere come quello dei film per ragazzi e come presenteresti il tuo lavoro a qualcuno che non ha ancora visto Glassboy

In realtà il film inizialmente non è nato strettamente come un film per ragazzi, io volevo raccontare la fragilità, intesa come un limite nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza. Mi sembrava un tema fondamentale, quindi tutto è partito dal comprendere come poter raccontare meglio questo limite, nella prospettiva di un bambino che si trova ad affrontare una diversità rispetto a un contesto di “normalità”, un bambino che deve scegliere come vivere la propria vita, comprendendo quale posto nel modo può occupare. L’età dei 12-14 anni è sempre un momento difficile per tutti, ancor più se poi si ha anche una fragilità personale che fa sentire “anormale”. Il fulcro del mio lavoro sta qui, tutto questo viene unito alla mia grande passione per l’immaginario spielberghiano, per l’immaginario di un certo cinema per l’infanzia che ha segnato il mio percorso di spettatore. All’interno di questo film si può trovare tutto quel mondo fittizio del cinema degli anni ’80 di cui io mi sono nutrito, quando ancora non sapevo che avrei voluto fare il regista e che comunque fa parte di me.

Ciascuno di questi aspetti è stato messo insieme e qui è entrato in scena il mio produttore che – intelligentemente – quando abbiamo iniziato ad approfondire la prima stesura del lavoro nel 2015, mi ha consigliato di collocare il progetto nel segmento distributivo di un film per ragazzi e famiglie. In Europa questo tipo di cinematografia è sostenuta molto anche economicamente e questo ha permesso a lui e a me di poter costruire una pellicola ambiziosa con un budget non consueto per un secondo film – Glassboy è il mio secondo film di finzione – e questo ci ha permesso di competere con la filmografia nord-europea o americana, che su questi temi è molto forte.

Scena dal film ‘Glassboy’ di Samuele Rossi (Credit: Solaria Film)

I giovani attori che sono al centro di questa storia erano tutti alle prime armi? Come hai scelto il tuo bambino di vetro

I protagonisti sono tutti ragazzi tra i dieci e i dodici anni. Il film è concentrato in particolare su questo ragazzino che soffre di emofilia, anche se questo in realtà non è il tema principale della storia ma è un po’ l’escamotage che io ho scelto di usare – ispirandomi al romanzo di Fabrizio Sile, Il bambino di vetro – per poter poi parlare di molto altro. Fondamentalmente, l’attore protagonista e gli attori che compongono il gruppo di amici in cui Pino ambisce di entrare a far parte sono tutti in una fase pre-adolescenziale, e ognuno di loro è stato trovato con un processo di casting molto lungo. Lavorare con i bambini non è semplice per una serie di motivi diversi, quindi doveva trattarsi di un casting che ci avrebbe dato la possibilità di compiere scelte giuste e attente. Glassboy è stato un film impegnativo, che abbiamo girato per un periodo abbastanza prolungato nel tempo, quasi sette settimane, in diverse regioni italiane e non solo, dato che siamo andati anche all’estero. Di conseguenza, i ragazzi protagonisti sarebbero dovuti stare dentro questo meccanismo non semplice. Il casting è durato un anno e per quanto riguarda la scelta del protagonista erano rimasti in due alla fine a intrigarmi per aspetti diversi, uno era un professionista e l’altro invece no. Per ragioni caratteriali abbiamo scelto il ragazzo che aveva già avuto esperienza nel campo della recitazione, perché, come ho detto prima, il lavoro sarebbe diventato davvero impegnativo e non tutti i bambini riescono ad entrare subito in questa configurazione di lavoro. Gli altri componenti del cast, invece, erano tutti alle prime armi, però molto appassionati e con il desiderio di continuare nel campo della recitazione. Abbiamo creato una bella alchimia, il responso ricevuto dal pubblico dall’uscita del film nel 2020 è stato estremamente positivo e tutti loro in modi diversi stanno continuando a lavorare come attori.

Una domanda sul titolo, come mai la scelta di tenere solo la versione internazionale senza l’accompagnamento di una traduzione in italiano? 

Fondamentalmente oggi non c’è più un limite sulla decisione del titolo in inglese, però noi abbiamo fatto la scelta di tenere solo ed esclusivamente il titolo internazionale anche in Italia per un principale motivo: essendo il protagonista, comunque, la simulazione di un supereroe – seppur nella visione infantile – questo titolo secondo noi riusciva a risuonare un po’ nei grandi riferimenti che conosciamo del cinema di supereroi, dalla Marvel alla DC. Questa assonanza mi sembrava giusta in quanto il bambino, di fatto un appassionato di fumetti, è comunque molto fragile e in qualche modo si immagina di essere forte. Questo suo essere un “supereroe al contrario” ci è sembrato un messaggio forte, che volevamo accompagnare anche con un titolo di contrasto e impatto.

Scena dal film ‘Glassboy’ di Samuele Rossi (Credit: Solaria Film)

Infine, stai già lavorando su progetti futuri? Anche questi vireranno su tematiche di infanzia e/o adolescenza? 

Per quanto riguarda il cinema di finzione, ci sono attualmente due progetti che sto seguendo e che adesso si trovano a uno stadio più avanzato. Uno di questi è realizzato in collaborazione con lo stesso produttore di Glassboy, che mi ha chiesto di andare in continuità. Si chiama Gorgius ed è un progetto che parte lo stesso dal mondo dei bambini e dei ragazzi, ma si sposta completamente di genere perché di fatto è uno sci-fi/horror. Cerca, ovviamente, di rivolgersi a un pubblico simile a quello di quest’ultimo lavoro ma con degli strumenti linguistici diversi che sono quelli del genere horror-fantascientifico. Si tratta, quindi, di un sistema di comunicazione diverso con il quale bisogna rapportarsi e mostrare al pubblico a cui ci si rivolge. Anche in questo caso ci sono riferimenti a un cinema anni ’80 come ad esempio film tipo i Gremlins (1984), una versione di Et (1982) al contrario, oppure anche produzioni americane recenti come Stranger Things (2016-), che nel suo immaginario ha mediamente gli stessi riferimenti.

L’altro lavoro in corso invece, Viaggio alla fine del mondo, anche questo molto di genere, è un progetto che sto seguendo in parallelo, un film distopico che parte di nuovo dalla mia voglia di raccontare l’adolescenza, unita alla voglia di affrontare temi nodali di questo momento storico, anche nel rischio di parlare di tematiche ambientaliste. In questo caso sposto l’attenzione in un periodo storico inventato, più avanti nel tempo in un futuro lontano, dove un gruppo di ragazzini in un mondo distrutto post-apocalittico inizia un percorso di rivalutazione del loro passato, alla ricerca di un “prima” di cui si devono riappropriare. Nella loro riscoperta di questo mondo passato, contemporaneamente ci sarà anche la riscoperta, da parte del pubblico, per il mondo nel quale noi oggi viviamo.

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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