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Le recensioni di alcuni dei cortometraggi nazionali presentati in concorso durante la terza edizione del Calabria Movie International Short Film Festival.

di virginia


‘Free Town’ (2022) di Pietro Malegori

Free Town (Credits: Calabria Movie Film Festival)

Free Town racconta una storia drammaticamente vera, non con toni narrativi che alcuni potrebbero definire pessimistici, bensì dolorosamente realistici. Non lontano dal cinema sociale che oggi vede tra i suoi principali esponenti i Fratelli Dardenne – l’ultimo Tori e Lokita, presentato in concorso durante la 75° edizione del Festival di Cannes racconta la storia di due fratelli immigrati clandestinamente prima in Italia, poi in Francia – il cortometraggio si incentra sulle dinamiche di potere e di possesso che intercorrono tra migranti e “signorotti” locali. Allo spettatore viene fornito poco contesto ma quanto basta per capire a grandi linee in quale situazione si trovino i due personaggi protagonisti: appena arrivati in Italia (uno di loro, il ragazzo, non conosce la lingua), si fermano per la notte nella casa di quello che sembra un trafficante di persone, che in cambio di “manodopera” – ma si potrebbe meglio dire sfruttamento – riceve un compenso in denaro. I due ragazzi sono solo di passaggio in questa casa, dove tutto si svolge al buio, di nascosto, sempre con un alone di segretezza e di silenzio da mantenere – da cui si percepisce la natura clandestina e criminale delle azioni della persona che li ospita.

Al di là del grande tema dell’incomunicabilità (è la ragazza a dover fare da interprete tra la lingua madre e l’italiano), un tratto che viene affrontato è come ogni aspetto della realtà – fino ad arrivare alle persone stesse – venga incasellato in categorie ed etichette di possesso. La ragazza chiede al trafficante se trovi piacere nel tenere, quindi possedere “persone come loro”, cioè senza prospettiva di futuro e appena arrivate in un Paese che sembra far di tutto meno che accoglierli. Sempre su questa linea, il trafficante chiede se il ragazzo con cui viaggia sia il suo uomo e, alla risposta negativa della protagonista, ribalta la domanda chiedendo se lei sia la sua donna. Non c’è riposta a questa domanda perchè, di fatto, è in questo modo che tutti percepiscono la ragazza: spiegando le cicatrici che sul suo corpo sono state inflitte sempre da un’altra persona, diventa chiaro come venga considerata al pari di un oggetto da tenere, da possedere. Non c’è redenzione e nemmeno un personaggio che si risollevi dal punto di vista morale: tutto è buio, a partire dagli interni della casa e dai pochi esterni che si intravedono, dove è sempre notte e non c’è mai uno spiraglio di luce a guidare i personaggi, né dal punto di vista fisico e materiale, né da quello metaforico, quello che viene rappresentato e portato sullo schermo è un mondo senza speranza.

‘Unica’ (2022) di Alessandro Marzullo

Calabria Movie Corti Nazionali
Unica (Credits: Calabria Movie Film Festival)

In un futuro distopico ma non troppo lontano dalla realtà in cui viviamo al giorno d’oggi, i principali capi del governo hanno varato una legge che divida il mondo in “belli” e “non belli”. Questa discutibile legge viene spiegata per esteso nel “Trattato di Fibonacci”, un documento che sancisce la serie di criteri oggettivi – stabiliti con misure matematiche e numeri – sulla cui base si può operare questa distinzione. Protagonista della storia è Lili, aspirante documentarista (interpretata da Lili Huang), con una grande passione per l’arte trasmessagli dalla madre fin dall’infanzia. A causa di un angioma sul volto è destinata a non superare i test che le potrebbero consentirle di viaggiare nel Vecchio Continente (non viene menzionato esplicitamente ma si capisce essere il continente europeo), sede di tutte le opere d’arte per cui prova grande ammirazione. In questo mondo in cui contano solo le apparenze, chi non viene classificato come bello vive ai margini della società, in condizioni precarie e senza neanche godere degli stessi diritti di cui i “belli”, invece, godono.

Calabria Movie Corti Nazionali
Unica (Credits: Calabria Movie Film Festival)

L’intero cortometraggio, come si può evincere fin dai primi minuti, ruota intorno al tema della bellezza fisica. Non è un caso che, in un ricordo d’infanzia, si veda la protagonista ancora bambina giocare con una statua in miniatura del David di Michelangelo, opera d’arte-simbolo di un canone di bellezza stabilito dallo scultore fiorentino durante il Rinascimento. La statuetta, mentre la bambina gioca, viene inavvertitamente rotta: il volto del David viene sfigurato e viene infranto quell’ideale di bellezza rappresentato dall’uomo scolpito. I canoni estetici sono sempre stati e sempre saranno un qualcosa di irraggiungibile e inarrivabile, motivo per cui quando ci troviamo di fronte alla statua scolpita da Michelangelo non abbiamo la percezione di vedere un uomo per quello che è, bensì una figura idealizzata. È una proiezione dell’uomo perfetto, ovvero la proiezione di un qualcosa che non esiste nella realtà e che nessuno dovrebbe sforzarsi di raggiungere, visto che la perfezione in ambito estetico si configura come un concetto tanto astratto quanto mutevole.

Di fronte alla storia che ha come protagonista Lili, in quanto spettatori, restiamo inorriditi per il metodo brutale con cui vengono classificati gli abitanti di questo stato distopico. Forse, però, restiamo ancora più inorriditi quando, finito il cortometraggio, ci rendiamo conto di quanto effettivamente poco lontani siamo da questa forma mentis che porta a giudicare persone che non abbiamo mai conosciuto o con cui non abbiamo mai avuto a che fare in base al loro aspetto esteriore. Per quanto spaventoso sia dividere il mondo in base a questa etichetta, il cortometraggio diretto da Alessandro Marzullo fa capire che la storia narrata non è altro che un’inasprimento di un processo iniziato da molto prima che abitassimo questo pianeta e che, inevitabilmente, stiamo contribuendo, in un modo o nell’altro, a continuare in quella direzione estrema descritta.

‘Rughe’ (2021) di Maurizio Paparazzo

Calabria Movie Corti Nazionali
Rughe (Credits: Calabria Movie Film Festival)

Rughe racconta una storia molto tenera e con un fondo di verità: per evitare che le scuole elementari di questo paesino non specificato della Calabria, i nonni dei bambini che non hanno avuto modo di imparare a leggere e scrivere quando erano piccoli decidono di iscriversi a scuola e frequentare le lezioni insieme ai nipoti. Nonostante le premesse siano molto tristi – quella delle scuole che chiudono per mancanza di iscritti è una questione sociale ancora dibattuta oggi – comunque Maurizio Paparazzo non sceglie i toni duri del neorealismo per portare sullo schermo questa situazione. Lo spettatore ha l’impressione di vedere ed ascoltare una fiaba: dalla colonna sonora che evoca un’atmosfera magica e incantata al modo in cui viene rappresentato il paesino dove le vicende prendono vita, tutto contribuisce a restituire un senso di meraviglia. Questa cittadina senza nome è composta da alte mure di pietra e scale che si susseguono senza sosta, dando l’impressione di trovarsi all’interno di un labirinto e conosciamo la fisionomia del territorio nel momento in cui la bambina protagonista e la nonna perdono un orecchino, che assume i connotati di un oggetto magico che si perde in questo labirinto di scale.

Tornando alla trama, nel momento in cui si diffonde la notizia che la scuola elementare dovrà chiudere per il mancato raggiungimento del numero di iscritti previsto dalla legge, arriva in soccorso un altro anziano del paese, il padre della maestra delle elementari. Non a caso viene presentato come Mastro Peppe, nome di cui non si può ignorare l’assonanza con un altro personaggio delle fiabe, ovvero Mastro Geppetto, il falegname che ha costruito Pinocchio. La dimensione della favola, del sogno ad occhi aperti è il filo rosso che collega tutte le vicende dei personaggi mostrati dal cortometraggio e, non a caso, tutto si conclude con un finale positivo, una sorta di morale che insegna a non perdere mai la speranza anche quando tutto sembra buio.

 

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