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di giulia

★★★★

Questa storia ha inizio nell’estate 1984 a Grana, un paesino di montagna di quattordici abitanti. Pietro (Luca Marinelli) è un ragazzino di città, figlio di un ingegnere (Filippo Timi), e non ha la minima familiarità con la natura o l’aria aperta. Bruno invece (Alessandro Borghi), vive da sempre con suo zio pastore ed è l’ultimo bambino del villaggio, dove Pietro e la sua famiglia passano i mesi estivi lontani dalla caotica e “cupa” Torino. Inseparabili nell’infanzia, gli anni della crescita portano la coppia davanti alle incompatibilità dei loro mondi di provenienza: i genitori di Pietro propongono a Bruno di vivere con loro nella grande città e di frequentare lì il liceo. Il padre di Bruno, fino a quel momento assente, si oppone a questa accondiscendenza e porta il ragazzo a lavorare con lui in un cantiere edile, separando irrimediabilmente i due. Pietro non perdonerà mai al padre di averli divisi e per non averlo mai capito, chiudendo definitivamente i rapporti con lui in adolescenza. Così Bruno rimane fedele alle sue montagne, mentre Pietro se ne allontana sempre di più. Il loro incontro dopo quindici anni di silenzio li porterà a sperimentare l’amore e la perdita, riconducendo ciascuno alle proprie origini e facendo sì che i loro destini si compiano, mentre i due scopriranno cosa significa essere amici per sempre.

Lupo Barbiero e Cristiano Sassella in Le otto montagne (Credits: Festival de Cannes)

Al centro del film, sulla vetta più alta, sta l’Amicizia, come di fatto si narra anche nel romanzo omonimo del premio Strega Paolo Cognetti, su cui si adatta la sceneggiatura. Questa amicizia è portata sullo schermo dalla coppia Marinelli-Borghi con estrema naturalezza. I due, che hanno già lavorato insieme in Non essere cattivo sette anni fa, hanno riscoperto un legame forte e mai svanito. Lo stesso Alessandro Borghi, quando gli è stato chiesto come avesse fatto a entrare a contatto con il suo personaggio e a creare un sentimento di amicizia così palpabile con Luca, ha risposto: “non è stato difficile, non ho dovuto fingere mai perché il mio bene nei suoi confronti è vero“. L’affinità fra i due è stata così alta fin da subito che — come ci dicono i co-registi Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch — inizialmente non è stato subito immediata la scelta di chi dovesse rappresentare Pietro e chi Bruno.

Esattamente come la casa di pietre e travi del film che i due protagonisti si trovano a costruire assieme, lo stesso film si forma con un lento e graduale sovrapporsi di dettagli, a partire della fotografia unica di Ruben Impens, che ci immerge nel mondo dei suoi personaggi a un livello di profondità che spesso soltanto la letteratura può raggiungere, fino ad arrivare alle composizioni del cantautore svedese Daniel Norgren, che costituiscono l’unica colonna sonora del film, lasciando intendere fin dall’inizio che questa storia è già finita e viene raccontata da lontano.

Alessandro Borghi e Luca Marinelli in Le otto montagne (Credits: Festival de Cannes)

In una scena Bruno dice la frase “è lunga”, che viene usata nel suo dialetto per comunicare un sentimento di tristezza. Questo film, per tutta la sua durata di quasi due ore e mezza, è spesso sommerso da un velo di tristezza e malinconia, ma sotto di esso si intravedono chiaramente gli sprazzi di gioia, complicità, soddisfazione. Con un peso emotivo che si accumula sempre di più andando verso la fine, il film raggiunge l’apice negli ultimi attimi, con il compimento dei destini di Pietro e Bruno e dell’amicizia fra i due, che ha dato tanto a entrambi gli uomini ma che ha dato ancora di più, al valore del film.

Giulia

Nouvelle Vague, arti visive e ramen istantaneo. Non mi piace parlare di me, ma mi piace parlare di film.

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