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di virginia

★★★

La 75° edizione del Festival di Cannes si apre con la commedia (abbastanza gore) francese Coupez! di Michel Hazanavicius. Il film è stato scelto come pellicola d’apertura del festival dopo una serie di peripezie: dalla partecipazione al Sundance Film Festival – partecipazione annullata nel momento in cui il Festival ha annunciato che la versione di quest’anno si sarebbe svolta unicamente online come conseguenza della diffusione del virus Covid-19 – al repentino cambio del titolo, che originariamente avrebbe dovuto essere Z! ma che è stato modificato in un secondo momento fino ad arrivare al titolo attuale, per evitare eventuali associazioni da parte del pubblico con le forze armate russe. Come dimostra la cerimonia di apertura, che ha introdotto il film, la posizione del Festival su quale parte stare è ben chiara: tra gli invitati a parlare sul palco del Gran Theatre Lumiere anche il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.

“Coupez!” (Credits: Festival de Cannes)


un remake poco ispirato

Hazanavicius, che tanto sembra affezionato a ribadire quanto provocatorie potranno sembrare al pubblico le sue pellicole – anche se, viene da chiedersi se si sia mai trattata, la sua, di vera provocazione – porta sulla Croisette un film sugli zombie, con protagonisti Romain Duran e Berenice Bejo. Certo, non si tratta di una scelta abituale (o quanto meno “tradizionale”) aprire il Festival con un film del genere, ma da “non tradizionale” a “provocatorio” c’è un bello scarto: così come si era verificato per Le Redoutable, biopic sul regista icona Jean Luc Godard, il pubblico (e soprattutto la critica) è presto arrivato alla conclusione che un eccesso di kitsch non può definirsi provocatorio. Hazanavicius ha realizzato un film da Oscar, per poi rivistare in chiave pop la vita del regista francese Jean Luc Godard, per arrivare a girare un remake di un film giapponese a tema zombie. Sì, perché si tratta di un remake, nello specifico del film One Cut of the Dead (Kamera o tomeru na!, alla lettera “Non fermare la cinepresa!”) di Shin’ichiro Ueda. E se la pellicola originale presentava grandi punti di spunto – oltre che ad un’idea del tutto innovativa – la rivisitazione che ne fa Hazanavicius non riesce a convincere.


Romain Duris in “Coupez!” (Credits: Festival de Cannes)


è facile perdersi in un film nel film (nel film, nel film, nel film…)

La storia funziona con meccanismi di incastro e di metanarrazione: come una scatola cinese, piano piano lo spettatore entra nel vivo nella storia, non senza colpi di scena e cambi di prospettiva. I tre livelli di lettura si sviluppano gradualmente man mano che la storia procede: lo spettatore in sala guarda il film, viene mostrato il processo che porta i produttori e il regista a realizzare il film e, infine, il film girato all’interno del film – questo sì, porta ancora il nome di Z!. Viene girato un film sugli zombie, di cui lo spettatore osserva il dietro le quinte e, per quanto il “film nel film” appartenga al genere dei b-movies, è comunque pieno di virtuosismi (non solo un piano sequenza lungo mezz’ora ma anche un ricercato effetto di “sgranato”, forse troppo raffinato nella tecnica per essere annoverato tra i b-movie).

il troppo (pop) stroppia

La pellicola gioca tutto sull’effetto sorpresa, ma, per non perdere questo status di regista pop, Hazanavicius decide di inserire anche scene post-credit come tanto vanno di moda ora grazie (o forse per colpa di?) alle pellicole Marvel. Non mancano neanche, sempre per restare in tema, numerosi riferimenti e citazioni al mondo del cinema che, per quanto possano essere apprezzate e riconosciute, se ripetute fino allo stremo finiscono per scadere nel banale – anche perché espliciti e apertamente messi in scena: dalla maglietta che la figlia del regista indossa che riporta la scritta Written and directed by Quentin Tarantino al ripetere che i personaggi del film sugli zombie devono rappresentare la perfetta unione tra Pulp Fiction Kill Bill.

Matilda Lutz in “Coupez!” (Credits: Festival de Cannes)

Se a partire dalla seconda metà del film ci sono alcune gag che risollevano la lentissima prima parte, composta da un unico piano sequenza dalla durata di circa mezz’ora, comunque finiscono per diventare – anche queste – banali, anche perché, come il film, pur non intenzionalmente, dimostra quanto sia vero che il gioco è bello quando dura poco.

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